Scontro pubblico a distanza tra i vertici del Ministero per i beni e le attività culturali. Oggetto del contendere: la gestione dell’area archeologica di Pompei. Dettaglio del contendere: a Pompei i troppi turisti (oltre 2.300.000 annui) danneggiano gli scavi, bisogna ridurli o incrementarli? Protagonisti: da un lato la soprintendente Cinquantaquattro e il direttore generale per l’archeologia Malnati (con alcuni distinguo: ”…manca la manutenzione ordinaria” ha scritto, ma chi dovrebbe farla se non la soprintendenza che dipende dai suoi indirizzi?) e dall’altra il direttore generale per la valorizzazione, Resca, severo censore delle opinioni degli archeologi.
Non si tratta di confronto tra opinioni, che serve, ma della ulteriore prova che al Ministero manca una linea chiara e univoca sulle strategie globali per Pompei. Come potrà essere possibile dialogare con il mondo e dimostrare che l’Italia è impegnata con tutti i suoi uomini migliori ad attuare strategie utili alla conservazione degli scavi e alla loro valorizzazione?
Queste le dichiarazioni riportate da “Il Mattino”. “Allarme scavi: troppi turisti danneggiano il monumento. A lanciarlo è la soprintendente archeologica Teresa Elena Cinquantaquattro…”, così si legge testualmente sul quotidiano napoletano. Il direttore Malnati, ribadisce il concetto: “I grandi flussi turistici rappresentano un danno per gli scavi”, ha scritto in un testo affidato alla lettura di un archeologo giunto da Roma (non bastava la sola Cinquantaquattro ad illustrare e rappresentare l’univoca posizione del Ministero?) per un convegno sull’innovazione nei beni culturali svolto nei giorni scorsi al comune di Pompei.
Nello stesso giornale, in un intervista, il direttore generale per la valorizzazione, Mario Resca, taglia corto e fa capire senza equivoci cosa pensa dell’opinione degli archeologi. “Troppi turisti danneggiano il monumento? E cosa vogliamo fare, vogliamo chiuderlo? Chiudere gli scavi di Pompei, il sito Unesco che tutto il mondo c’invidia?, I turisti rappresentano la principale risorsa per i nostri beni culturali perché ci permettono di mantenerli”. Parola di Mario Resca, spesso inviso dai “culturali”, solo perché di provenienza manageriale Mcdonald’s.
In fondo, il manager cerca di far bene il proprio lavoro che piacciano o no le sue strategie per valorizzare i beni culturali. I denigratori dicono ispirate dal gusto dei big mac, dove, come è noto, trovano posto “due hamburger, formaggio cheddar, cipolle, cetrioli, insalata e inimitabile salsa”, elementi non certamente riconducibili ad un’architettura antica. Il problema, piuttosto, è a monte e resta il solito. Riguarda le dosi di concretezza che si mettono per conservare i valori culturali e identitari dell’Italia (i beni culturali), trattati molto spesso come un “panino”, spesso “indigesto”, secondo giudizi internazionali ormai molto diffusi. Occorre dimostrare che la celebre e abusata frase, “i beni culturali sono il nostro petrolio”, non è solo uno squallido (si, squallido!) slogan. Al contrario è il “senso popolare” di un paese che si occupa di proteggere e conservare il proprio patrimonio. Solo così e non con un astratto risentimento nazionalista o protezionista, come fanno spesso i burocrati, si potrà smentire quanto ha scritto recentemente Le Monde in tre pagine di rigorosa inchiesta giornalistica, riguardo la competenza dell’Italia ad occuparsi di Pompei.
Antonio Irlando