Castellammare: si pesca alla foce del Sarno

Non bastavano le continue esondazioni e il pesante inquinamento che ne fa il primo in Europa per presenza di sostanze chimiche, adesso il fiume Sarno rischia di diventare famoso anche per la pesca illegale e pericolosa. Qualche anno fa, esattamente nel 2007, Legambiente ha dichiarato ufficialmente “morto” il corso d’acqua che raccoglie rifiuti di ogni genere, passando per tre province, prima di andare ad immettersi in mare, segnando il confine tra Castellammare di Stabia e Torre Annunziata. Ma la flora e la fauna continuano ad esistere anche nella zona della foce, in quel fiume che, tuttora, fa parte di un Ente Parco. Soprattutto uccelli, gabbiani e anatre in particolare, riescono ancora a sopravvivere alla foce. Se nelle acque dolci (si fa per dire) del fiume non esiste vita, in qualche modo quegli altri animali dovevano pur trovare cibo. E, a quanto pare, la maggior parte del cibo arriva dal mare, proprio da quel mare che resta inquinato almeno quanto il fiume nell’area della foce. Ma, strano scherzo della natura, proprio in quelle acque mai trasparenti si cela il nutrimento di quei volatili che affollano la foce del Sarno. Spigole, capitoni, polipi, cefali e cozze abbondano in quel tratto tra mare dove il Sarno va a finire. Sì. Sembra strano, ma spigole, capitoni, polipi e cefali dominano quelle acque, insieme ai mitili. C’è qualche pescatore pronto a giurare che, a poche centinaia di metri più a largo, «si pescano anche tonni», anche se di piccole dimensioni. La vita in un bel tratto del Sarno è finita. Ma, a quanto pare, a mare molte specie di pesci riescono a sopravvivere e proliferare, incuranti del forte inquinamento. Quel che più stupisce, però, è proprio la presenza dei pescatori che arrivano lì superando un cancello (aperto) che delimita una proprietà privata. L’attrezzatura è semplice e permette un pescato abbondante: canne, lenze e ami, spesso senza neanche bisogno delle esche. Ma quanto è sano il prodotto pescato? Quei pescatori, per la maggior parte stabiesi e torresi, sono sicuri che sia «sano almeno quanto quello pescato nelle altre acque del Golfo di Napoli». E non ci pensano su due volte: buttano l’amo, aspettano che il pesce abbocchi, tirano su, mettono in un secchio e portano a casa. Mica è possibile anche mangiare il pesce pescato alla foce del Sarno? «Naturalmente sì – rispondono fieri mostrando un cefalo all’incirca di 2-300 grammi – perché è sicuramente fresco e molto buono. Sa di mare…» Altra frase da brividi. Il fetore lì è insostenibile, ci sarebbe quasi bisogno di una mascherina. E invece, c’è chi allegramente, in maniera spensierata, pesca del pesce che poi porta a casa e mangia tranquillamente. Ci sono anche due bambini, uno accompagnato dal nonno. «Gli sto insegnando a pescare – dice l’anziano, di Castellammare, 64 anni – è una cosa importante». Sì, ma un posto migliore? «Non c’è – risponde – qui arriviamo a piedi, superiamo il cancello e siamo vicini al mare più pescoso della zona. E lo sanno bene anche quei pescherecci lì». Possibile che qualche peschereccio butti le sue reti in mare, a largo di Castellammare di Stabia e Torre Annunziata (vicino allo scoglio di Rovigliano per intenderci) per poi rivendere il pescato alle pescherie locali? «Quello che peschiamo noi è lo stesso pesce che mangia la maggior parte della gente, solo che non ne conosce la provenienza» rispondono i pescatori. Quindi, sicuramente c’è qualche pescheria che acquista e rivende quel pesce, anche se potrebbe esserci qualsiasi cosa dentro, visto che stiamo parlando di prodotti pescati a poca distanza dalla foce del fiume più inquinato d’Europa. «Ci sono spigole che arrivano addirittura a 5 chilogrammi» raccontano fieri quei pescatori, prima di salutarli. Per diventare così grandi, quelle spigole hanno ingerito probabilmente anche i veleni del Sarno. Ma a nessuno sembra importare più di tanto. Alla fine, quello è solo il fiume più inquinato d’Europa. E comunque, da quelle stesse acque arriva una fetta di prodotti venduti sui banchi delle pescherie della zona.

Chiara Sautto

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