Il Gazzettino vesuviano | IGV

Terremoto 1980: la camorra si impossessa di Castellammare

«Fare memoria comune è utile, insegna a non dimenticare». Parole del professor Giuseppe Zingone, che sul sito dell’amico Libero Ricercatore ha raccontato e descritto il prima, il durante e il dopo terremoto del 1980. Ad un anno circa dal sisma che ha scosso l’Abruzzo, tutti abbiamo osservato le macerie del centro storico de L’Aquila e i nastri rossi che delimitano la città fantasma, e, tutti, siamo entrati in un rapporto di empatia con il fiero popolo abruzzese e le sue ormai famigerate “carriole”. Una testimonianza video su tutte, quella del bravo Diego Bianchi alias Zoro, che per l’occasione ha lasciato la satira puramente politica (sulla sinistra in particolare, fatta da un uomo di sinistra) per sottolineare i limiti, i costi e le condizioni della ricostruzione aquilana. Ci siamo passati anche “noi”, poche centinaia di chilometri più giù lungo la penisola, pochi anni fa indietro nel tempo. Ci è capitato di riaprire cassetti della memoria (o chi, come me, non era ancora nato, ha sentito il bisogno di farsi raccontare com’è quando la terra ti trema sotto i piedi), riappropriarsi di quella memoria, sfogliare materialmente, chi ha potuto, i giornali dell’epoca e guardare in alto ed entrare nel cuore della città per toccare con mano quelle crepe. Già, perché le crepe ci sono ancora, le abbiamo tenute lì alcune nascoste agli occhi dei più, altre ben visibili, come memento di un declino che dal tempo del terremoto non si è più arrestato. Ogni cataclisma fa storia a sé, questo è certo, solo le macerie, la polvere e il sangue non cambiano. Basti pensare che i “moduli abitativi” che il Governo ha fornito agli aquilani corrispondono al treno merci che trent’anni fa stazionò in villa comunale per accogliere gli sfollati stabiesi. Castellammare: leggendo e rileggendo le testimonianze, e sfogliando le foto, e confrontando il prima e il dopo non si può non pensare che il terremoto abbia rappresentato per la città uno spartiacque. Della crisi industriale ne avevamo solo il sentore, della crisi turistica neanche l’ombra, la politica si limitava a gestire, non a controllare, la criminalità organizzata aspettava solo il momento giusto. Che arrivò il 23 novembre 1980. Nelle crepe apertesi si è infiltrato il malaffare, la cattiva politica, sono fuggiti via imprenditori e turisti. L’acqua è divenuta scura, le strade si sono insanguinate, l’economia è girata dai cittadini ai clan. Ma per meglio spiegare questo concetto, voglio affidarmi alle parole del professor Zingone: «Il terremoto dell’80 si pone nella storia della nostra Castellammare come spartiacque, cerniera di epoche assai diverse tra loro quasi senza continuità: da un lato la reputazione di Città turistica e industriale assieme, con i suoi piccoli problemi che iniziavano ad evidenziarsi  alla fine degli anni Settanta e di cui ci rimangono oggi solo immagini da cartolina; d’altra parte, il dopo-terremoto che evidenzia una Città in declino, il cui apice, è la guerra di camorra tra i D’Alessandro e Imparato; senza dimenticare le problematiche connesse al mondo del lavoro (e del Sud) che fa degli stabiesi, menti e braccia esportate nel mondo». E ancora: «Castellammare è una Città-memoria! Un agglomerato urbano che porta inciso nella fisicità del proprio territorio le tracce di avvenimenti passati di cui molti sono i segni tangibili. Le distruzioni ad opera dell’uomo e della natura, indussero alcuni suoi cittadini ad attribuirle il motto “Post fata Resurgo” che suona come una ricerca permanente di rinnovamento, una volontà delle sue genti che costantemente vollero che rinascesse dalle propri ceneri, come l’Araba Fenice». Infine, ecco le impressioni del naturalista Nando Fontanella, collaboratore del Libero Ricercatore e del nostro giornale: «Chi e cosa ha determinato lo stato attuale delle cose, perché una catastrofe seppure immane come quella del 1980 ha stravolto e continua tuttora a stravolgere la nostra vita? Per dare una risposta a tutte queste domande dobbiamo fare un passo indietro, tornare all’attimo immediatamente successivo al tremolio della terra. È in questo preciso istante che “l’odore” dei morti e l’opportunità di un “buon pasto” attirano gli “avvoltoi” che s’impegnano ad organizzare: gli aiuti alla popolazione e i fondi per la ricostruzione. Così mentre il popolino si chiede che fine ha fatto Dio, inizia l’apocalisse post-terremoto. Un vero calvario, i danni prodotti da quei novanta secondi di tremolio, sono poca cosa rispetto a quelli di quasi trenta anni di malaffare. L’elite della politica e dell’economia italiana, collusa con la feroce camorra, per lucro ha approfittato del terremoto finanziando la devastazione sociale, naturale e storica della nostra terra».

Francesco Ferrigno

Maurizio Cuomo

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