La scienza i musei e la morale delle esposizioni: il caso del Museo di antropologia criminale “Cesare Lombroso”

Tra tutte le onorificenze più prestigiose che uno scienziato può ricevere, nell’arco della vita o in seguito alla sua dipartita, va sicuramente annoverata l’intitolazione di un museo. Solitamente questo onore è riservato ai “giganti della scienza” coloro che con le idee, il lavoro, la volontà e un pizzico di fortuna hanno decisamente contribuito al progresso delle conoscenze umane. Il museo dedicato a questi illuminati esporrà oggetti personali, strumenti, appunti di lavoro, immagini, insomma reperti capaci di raccontare al visitatore la storia dello scienziato e delle sue scoperte, affinché siano d’ispirazione ed esempio.

Per alcuni altri ricercatori, che per contrapposizione potremmo chiamare i “nani della scienza”, coloro che per poca genialità, limitate capacità o semplice sfortuna hanno imbroccato ricerche che alla prova dei fatti si sono rivelate sterili e infondate, il cui solo merito è quello di aver contribuito a dimostrare che la teoria alla base del loro lavoro non era esatta. A questi uomini solitamente non spetta il privilegio di essere ricordati con così tanto lustro. Il loro nome compare nei libri di storia per qualche anno e poi pian piano è destinato all’inesorabile oblio. Un oblio che può essere però rapidissimo se lo scienziato che ha sbagliato, nel tentativo di dimostrare le sue teorie, si è anche macchiato di atti che vanno contro la morale umana. Per questi altri uomini di scienza spesso il solo oblio non basta è necessario che le loro turpi gesta vengano ricordate alle generazioni future cosicché mai più si ripetano. A questi scienziati allora vengono affibbiati, come il marchio inciso sulla fronte di Caino, nomignoli come “mostro, criminale, pazzo”. È quello che per intenderci è capitato agli scienziati della Germania nazista che nel tentativo di provare le loro folli teorie si cimentarono in assurdi ed efferati esperimenti usando come cavie i prigionieri.

In un solo caso uno scienziato le cui idee sono erronee e i suoi metodi di ricerca sono ritenuti immorali, può aspirare alla somma gloria di un museo intitolato alla sua memoria. È necessario che questo scienziato sia stato coinvolto con le sue ricerche in qualche guerra e che l’esercito da lui sostenuto sia uscito vincitore dal conflitto. Immaginate quali grandi onori sarebbero spettati agli scienziati nazisti se solo Hitler avesse vinto la guerra?

Comunque, per non sforzare la memoria in inutili ipotesi sugli esiti verosimili del secondo conflitto mondiale, voglio illustrarvi un esempio più concreto e a noi ancor più vicino. I fatti si sono svolti nella metà del 1800. In quegli anni di grandi cambiamenti un gruppo di scienziati cercava di provare, secondo una teoria conosciuta come fisiognomica, l’esistenza di un collegamento tra i tratti somatici di una persona e il suo carattere; ad esempio si cercava di stabilire un rapporto scientifico tra una determinata forma del cranio e la propensione a commettere crimini, una volta stabilito questo rapporto esatto sarebbe stato facile riconoscere ed eliminare i criminali. Gli studiosi di fisiognomica per provare le loro teorie avevano bisogno di esaminare una gran quantità di reperti e allora era necessario ad esempio mozzare le teste ai criminali per poi prendere le misure e da queste stabilire i rapporti esatti tra forma e crimine. Ovviamente una guerra per uno studioso di fisiognomica sarebbe stata una opportunità assolutamente da sfruttare, chi meglio del nemico può incarnare i tratti del criminale modello. Nella nostra terra una guerra in quegli anni avvenne, si lottò infatti per l’unità d’Italia. L’esercito piemontese con la forza delle armi civilizzatrici spodestò e successivamente civilizzò il barbarico Regno delle due Sicilie, più o meno è questo che raccontano i libri di storia. Al seguito di questo esercito vincitore c’era, ed è normale che sia così, anche uno scienziato di fisiognomica che da scrupoloso ricercatore prelevò tutte le teste mozzate ai criminali del Sud, magari indicò lui stesso, secondo la sua scienza, quali teste era meglio mozzare. Non importa che fossero contadini, artigiani, pastori, padri di famiglia, partigiani, non importa che lottassero per le loro terre natie. Quello che contava  veramente era che i prigionieri da giustiziare apparissero come delinquenti della peggior specie e che le loro teste rappresentassero la prova decisiva per il completamento delle ricerche. Le teste mozzate, opportunamente scarnificate o conservate in formalina, venivano quindi portate a Torino, è questa la città dove lo scienziato compiva i suoi studi, e una volta misurate venivano gelosamente conservate per le successive verifiche sperimentali. Tutto questo è stato all’incirca 160 anni fa. Oggi che la scienza ha definitivamente stabilito che non esiste nessun reale collegamento tra fisionomia e personalità e che gli studiosi di fisiognomica hanno in sostanza sbagliato. Oggi che si celebra il quasi anniversario dell’unità d’Italia, che deve essere celebrato come la gloria dei vincitori e la disfatta dei vinti e non come momento di aggregazione nazionale. Oggi, in questa piccola Italia, una città decide di dedicare un museo ad un “nano della scienza”  uno studioso di fisiognomica. Un signore che ha evitato il marchio dell’infamia (mostro, criminale, pazzo) solo perché si è trovato dalla parte del vincitore e non dei vinti.

Per chi non fosse convinto di quanto letto e avesse bisogno di ulteriori prove può sempre recarsi a Torino e visitare il Museo Universitario di antropologia criminale Cesare Lombroso, dove troverà scheletri, crani, le teste dei “criminali” del Sud, gli strumenti da laboratorio, le immagini e quant’altro serve affinché la vita e le ricerche di quest’uomo siano d’ispirazione ed esempio per gli italiani futuri.

Ferdinando Fontanella


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