Una pistola in macchina con il bimbo: è il fedelissimo di “o’pecorone”

La scorsa notte è stato arrestato un fedelissimo di “Rino o’pecorone”, il referente gragnanese del clan D’Alessandro, ucciso poco più di un mese fa a Gragnano. Gennaro Donnarumma, 43 anni, anch’egli gragnanese, è stato sorpreso in auto in possesso di una pistola, custodita nella borsa per l’occorrente per il bambino di 18 mesi che viaggiava insieme a lui ed alla compagna, Immacolata D’Auria, di 37 anni, arrestata. La scorsa notte, i carabinieri del Nucleo Investigativo di Torre Annunziata, guidati dal tenente colonnello Andrea Paris, erano impegnati in normali posti di blocco nelle strade di Sant’Antonio Abate, quando hanno notato lo strano comportamento del 43enne, fermandolo. Una volta riconosciuto Donnarumma, hanno effettuato una breve perquisizione della vettura, notando un inconsueto stato di agitazione dell’esponente della criminalità stabiese. E, infatti, in una borsa, in mezzo al necessario per il piccolo di 18 mesi, i militari dell’arma hanno rinvenuto un revolver 357 magnum con matricola abrasa e con 6 cartucce nel tamburo, una delle quali con l’ogiva mozzata per aumentarne le potenzialità offensive. Donnarumma, personaggio già noto alle forze dell’ordine ed in passato arrestato più volte per associazione per delinquere e per reati contro il patrimonio e la persona, è considerato un fedelissimo del boss gragnanese Gennaro Chierchia, detto “Rino ‘o pecorone”, ucciso in un agguato di camorra in pieno centro cittadino lo scorso 13 marzo. Essendo molto vicino al ras ammazzato, probabilmente portava con sé una pistola per difendersi, forse perché non si sentiva sicuro. La donna, invece, è finita in manette poiché accusata in concorso della detenzione dell’arma che il 43enne trasportava in auto. Gli stessi carabinieri di Torre Annunziata, inoltre, stanno indagando ancora sull’omicidio di Chierchia, per il quale pensano di aver già capito chi possa essere il mandante: da cercare, ora, sono gli esecutori, ma il cerchio si sta stringendo. Le motivazioni sono legate soprattutto al controllo del mercato della marijuana che Chierchia era riuscito a monopolizzare nell’area dei Lattari, grazie alle ingenti piantagioni di cannabis indica che lui stesso riusciva a gestire tramite uomini di fiducia. Per questo potrebbe essere arrivato l’ordine di ucciderlo: probabilmente qualche clan non riusciva più ad arricchirsi a dovere sul traffico di droga.

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