Un talento fuori dal comune. In un uomo dalla sensibilità sfaccettata, intrigante. Un genio creativo dalle mille intuizioni, all’avanguardia, capace di rompere schemi, senza mancare di precisione e professionalità. Una contraddizione questa che ha reso il suo lavoro unico e vitale frutto di un immaginario vivido e in eterno movimento… Un immaginario popolato da visioni apocalittiche, a volte, ma capace di divertirsi, drammaticamente, nel giocare con miti, generi, fantasie, raramente la realtà se non quella più oscura. Rammentando a tutti cosa potesse significare la parola creatività. E quanto ancora si potesse dare. Eppure lo stilista ha voluto “ritirarsi dalla scena” prematuramente, lasciando tutti, ancora una volta, senza parole per una morte avvenuta tragicamente (suicido l’ipotesi più accredita) lo scorso 11 febbraio, all’indomani del funerale della tanto amata madre. La moda ha perso così uno dei suoi più geniali innovatori; un vuoto difficile da colmare perché il talento straordinario di questo stilista risulta indescrivibile e inimitabile sia a parole, sia (scontato dirlo) nei fatti. Un poeta (uno dei pochi) capace di far sognare mettendo in scena “incubi” e paure.Alexander (Lee) McQueen nasce nel 1969 a Londra, nell’East End. A soli sedici anni lavora presso “Anderson e Shepherd” in Savile Row (mecca della sartorialità internazionale) e poi da “Bermans & Nathans” come costumista teatrale, apprendendo quella maestria tecnica, la predilezione per tessuti come principe di Galles e lane mohair e la scenograficità, tutti stilemi tipici della sua “poetica”. A venti è a Milano nel team di Gigli. Nel 1992 fa ritorno a Londra per continuare gli studi alla Saint Martin’s School of Art and Design, fucina di talenti che gli permetterà di proporre il saggio finale dinnanzi ad una platea densa dei nomi più indiscussi del panorama fashion. Uno di questi sarà quello di Isabel Blow, giornalista eccentrica (morta suicida tre anni fa) che rapita dalla collezione, l’acquista per 5.000 sterline, diventando l’ala protettrice nonché musa del precoce talento (i fantasiosi cappelli, frutto della collaborazione con il celebre “Cappellaio Matto” Treacy e che compaiono in ogni sfilata, omaggiano proprio la lady). Le recensioni già parlavano di “eccezionale sostanza creativa e maestria di tagli” per quei frac tagliati e confezionati impeccabilmente quasi come in una sfida rivolta alla legge di gravità. La consacrazione avverrà come direttore creativo per Givenchy nel ’96. Alla prima sfilata si grida al miracolo; il “bravo bad boy” ha tolto tutte le foto della musa Hepburn, mandando in passerella dee corrucciate ricoperte di pelle di capra e sigillate in bustini di metallo tali da togliere il respiro sia alle modelle sia agli spettatori (per non parlare di Monsieur Hubert che non gli stringerà neanche la mano e mai riconoscerà questa sua originalità). Ironia, sberleffo, parolacce, sarcasmo dalle menti più classiciste non si risparmieranno dinnanzi a questa creatività così spregiudicata, provocatoria, ma lui continuerà incurante a dar vita alle proprie visione finché nel 200, quando una lettera lo avverte di fare i bagagli ,da vita ad un proprio brand di cui lo “Skull” (teschio) ne diventa l’emblema contaminando foulard, anelli e clutch dal piglio originalissimo. Brand che verrà acquistato al 50% dal Gucci Group e vedrà la nascita di più di una decina di negozi sparsi tra Londra e N.Y.Conteso dalle multinazionali sportive (Puma, Samsonite) e dal cinema (firmerà i costumi del thriller “The Cell”) agirà nella libertà assoluta, a dispetto di chi pensava che la creatività nella moda fosse scomparsa, soffocata da marketing e isterizzazione commerciale. Una creatività impossibile da definire, frutto di una mente che non conosce limiti e di un’incontenibile immaginazione sempre assetata di stimoli e novità. E’ superfluo, oggi, sottolineare quanto geniali e innovative, siano state le sue collezioni e quanto spettacolari i suoi dèfilè, veri e proprie perfomance teatrali. Eppure non si può non citare un’arte a metà strada tra haute couture e pret-à-porter che ha dato vita a degli abiti sospesi in un equilibrio precario fatto di sogno e realtà. Quella realtà che si tende e vuole nascondere fatta di radici sado, cumoli d’immondizia (A/I 2009), messe nere, spettri e noir profondo. Ma pur sempre una realtà. Visionario, all’avanguardia, trarrà linfa creatrice dalla tradizione british e da una modernità fuori dal tempo. Decadentismo ed epoca Vittoriana accenderanno di note inquietanti gli outfit dall’indiscutibile bellezza arcana. Bellezza non convenzionale ma resa classica appunto dalla tecnica perfetta. Il tutto spaventosamente meraviglioso e meravigliosamente spaventoso. Dalla brutalità egli paradossalmente riesce a trarre l’aspetto più sublime dando vita ad abiti che davvero lasciano di stucco per questo loro fascino violento. ABITI CAPACI DI LASCIARE UNA SCIA DI SUSPANCE. Plasmerà donne uccello ricoperte di piume, donne rettili inguainate in abiti fatti di squame iridate(P/E 2010), streghe, vedove allegre, fantasmagoriche figure, dame ottocentesche ricoperte di fiori freschi capaci di mantenersi inalterati (P/E 2007)… trionfi di liane, piume, cascate di cristalli come gocce di rugiada e rivoli di acqua, lattine, ruote di biciclette, sacchi d’immondizia, ali di fenicottero come revers… tutti dettagli che andranno ad impreziosire.Boschi magici, castelli infestati, foreste pluviali, mondi futuri, discariche: ecco le passerelle a far sfondo a degli show imperdibili, emozionanti. Fiabe dai titoli diversi… storie raccontate dove l’impossibile vi si materializzava, prendendo forma con gli abiti. Show irrinunciabili. COME LA SFILATA NELLA QUALE GLI ABITI VENIVANO SPRUZZATI D’INCHIOSTRO E LE MODELLE FATTE PASSARE SOTTO UNA DOCCIA che, facendo sciogliere inchiostro e trucco, rendeva il colore degli abiti via via diverso: l’acqua confluiva poi sotto la passerella trasparente, creando l’effetto di un fiume azzurro. Memorabile anche quella in cui le modelle apparivano e sparivano attraverso botole sotto lo stage; o, ancora quella degli scacchi a Parigi… L’ultima: una rivoluzione tecnologica a tutto campo; fantasia sci-fi a base di stampati digitali di tema sottomarino, trasformata in evento mondiale grazie a due gigantesche videocamere robot motion-sensitive su binari. Sinistri atomi con bracci come tentacoli si volgevano verso il pubblico per proiettare poi attorno alle modelle. Un mega schermo LED per mostrare le immagini di una passerella all’infinito… sulle note di una debuttante “Bad Romance” cantata live da Lady Gaga. E blackberries e iPhones del pubblico che si connettevano con il live stream e replicavano anche loro…” … Una forma di narrazione che voglio arrivi intatta al pubblico, senza la mediazione della stampa (!!!)” queste le parole dello stilista. Infranta così la tradizione elitaria della passerella… Un cambiamento epocale esaltato appunto dal techno blockbuster che prefigura un mondo sommerso fatto di aliene venute dritte dritte da un’Atlantide sommersa e creature degli oceani, esaltate da complessi stampati digitali in continua metamorfosi di abito in abito. Pettinature che evocano cavallucci marini e strani esseri anfibi unite a protesi come branchie alle tempie, incorniciano i visi sbiancati. Colpo supremo di magia con gli abiti medusa dalle trasparenze iridescenti per questa vena horror da vita negli abissi. Incredibili, stupefacenti, straordinari…Tutti lì per lui, per il suo talento e per quello che avrebbero visto nascere: una fashion experience che mai avrebbe deluso la sua audience spettatrice.L’abuso di crinoline, bustier, corsetti ad imbrigliare il corpo femminile e fianchi disegnati a mo’ di panier, andranno però ad alimentare le accuse di misoginia al quale lui risponde irriverentemente con cinghie e il costringere le forme in armature. Nulla di più falso. Solo una sorta di difesa dalla quella malizia maschile pronta a sbavare dietro un orlo corto o una scollatura. Ma anche di studio… anatomico: non a caso questi indumenti furono inventati nei secoli scorsi con lo scopo di sorreggere strategicamente determinati punti del corpo femminile.AMAVA LE DONNE. AMAVA SUA MADRE. AMAVA ISABEL BLOW. E a loro dedicava le sue creazioni degne davvero di essere raccontate.E’ bello ricordarlo vestito da coniglio, un po’ Donnie Darko, un po’ Bugs Bunny sulla passerella della sua collezione per l’estate 2009. Provocatorio, o forse solo eterno bambino. Di certo incontentabile, dava quasi l’impressione di non credere in fondo nelle sue qualità. Ma tutti sapevano e sanno, che è stato grande, e la sua visione straordinaria. Visione che induce o porterà (di sicuro) a riflettere su questa frase di TS Eliot: “Solo coloro che rischiano davvero possono scoprire quando lontano si può andare”… Capiamo così quanto Alexander si sia spinto ben oltre.
Alexander (Lee) McQueen: un talento fuori dal comune
Un talento fuori dal comune. In un uomo dalla sensibilità sfaccettata, intrigante. Un genio creativo dalle mille intuizioni, all’avanguardia, capace di rompere schemi, senza mancare di precisione e professionalità. Una contraddizione questa che ha reso il suo lavoro unico e vitale frutto di un immaginario vivido e in eterno movimento… Un immaginario popolato da visioni apocalittiche, a volte, ma capace di divertirsi, drammaticamente, nel giocare con miti, generi, fantasie, raramente la realtà se non quella più oscura. Rammentando a tutti cosa potesse significare la parola creatività. E quanto ancora si potesse dare.
Eppure lo stilista ha voluto “ritirarsi dalla scena” prematuramente, lasciando tutti, ancora una volta, senza parole per una morte avvenuta tragicamente (suicido l’ipotesi più accredita) lo scorso 11 febbraio, all’indomani del funerale della tanto amata madre. La moda ha perso così uno dei suoi più geniali innovatori; un vuoto difficile da colmare perché il talento straordinario di questo stilista risulta indescrivibile e inimitabile sia a parole, sia (scontato dirlo) nei fatti. Un poeta (uno dei pochi) capace di far sognare mettendo in scena “incubi” e paure.
Alexander (Lee) McQueen nasce nel 1969 a Londra, nell’East End. A soli sedici anni lavora presso “Anderson e Shepherd” in Savile Row (mecca della sartorialità internazionale) e poi da “Bermans & Nathans” come costumista teatrale, apprendendo quella maestria tecnica, la predilezione per tessuti come principe di Galles e lane mohair e la scenograficità, tutti stilemi tipici della sua “poetica”. A venti è a Milano nel team di Gigli. Nel 1992 fa ritorno a Londra per continuare gli studi alla Saint Martin’s School of Art and Design, fucina di talenti che gli permetterà di proporre il saggio finale dinnanzi ad una platea densa dei nomi più indiscussi del panorama fashion. Uno di questi sarà quello di Isabel Blow, giornalista eccentrica (morta suicida tre anni fa) che rapita dalla collezione, l’acquista per 5.000 sterline, diventando l’ala protettrice nonché musa del precoce talento (i fantasiosi cappelli, frutto della collaborazione con il celebre “Cappellaio Matto” Treacy e che compaiono in ogni sfilata, omaggiano proprio la lady). Le recensioni già parlavano di “eccezionale sostanza creativa e maestria di tagli” per quei frac tagliati e confezionati impeccabilmente quasi come in una sfida rivolta alla legge di gravità. La consacrazione avverrà come direttore creativo per Givenchy nel ’96. Alla prima sfilata si grida al miracolo; il “bravo bad boy” ha tolto tutte le foto della musa Hepburn, mandando in passerella dee corrucciate ricoperte di pelle di capra e sigillate in bustini di metallo tali da togliere il respiro sia alle modelle sia agli spettatori (per non parlare di Monsieur Hubert che non gli stringerà neanche la mano e mai riconoscerà questa sua originalità). Ironia, sberleffo, parolacce, sarcasmo dalle menti più classiciste non si risparmieranno dinnanzi a questa creatività così spregiudicata, provocatoria, ma lui continuerà incurante a dar vita alle proprie visione finché nel 200, quando una lettera lo avverte di fare i bagagli ,da vita ad un proprio brand di cui lo “Skull” (teschio) ne diventa l’emblema contaminando foulard, anelli e clutch dal piglio originalissimo. Brand che verrà acquistato al 50% dal Gucci Group e vedrà la nascita di più di una decina di negozi sparsi tra Londra e N.Y.
Conteso dalle multinazionali sportive (Puma, Samsonite) e dal cinema (firmerà i costumi del thriller “The Cell”) agirà nella libertà assoluta, a dispetto di chi pensava che la creatività nella moda fosse scomparsa, soffocata da marketing e isterizzazione commerciale. Una creatività impossibile da definire, frutto di una mente che non conosce limiti e di un’incontenibile immaginazione sempre assetata di stimoli e novità. E’ superfluo, oggi, sottolineare quanto geniali e innovative, siano state le sue collezioni e quanto spettacolari i suoi dèfilè, veri e proprie perfomance teatrali. Eppure non si può non citare un’arte a metà strada tra haute couture e pret-à-porter che ha dato vita a degli abiti sospesi in un equilibrio precario fatto di sogno e realtà. Quella realtà che si tende e vuole nascondere fatta di radici sado, cumoli d’immondizia (A/I 2009), messe nere, spettri e noir profondo. Ma pur sempre una realtà. Visionario, all’avanguardia, trarrà linfa creatrice dalla tradizione british e da una modernità fuori dal tempo. Decadentismo ed epoca Vittoriana accenderanno di note inquietanti gli outfit dall’indiscutibile bellezza arcana. Bellezza non convenzionale ma resa classica appunto dalla tecnica perfetta. Il tutto spaventosamente meraviglioso e meravigliosamente spaventoso. Dalla brutalità egli paradossalmente riesce a trarre l’aspetto più sublime dando vita ad abiti che davvero lasciano di stucco per questo loro fascino violento. ABITI CAPACI DI LASCIARE UNA SCIA DI SUSPANCE. Plasmerà donne uccello ricoperte di piume, donne rettili inguainate in abiti fatti di squame iridate(P/E 2010), streghe, vedove allegre, fantasmagoriche figure, dame ottocentesche ricoperte di fiori freschi capaci di mantenersi inalterati (P/E 2007)… trionfi di liane, piume, cascate di cristalli come gocce di rugiada e rivoli di acqua, lattine, ruote di biciclette, sacchi d’immondizia, ali di fenicottero come revers… tutti dettagli che andranno ad impreziosire.
Boschi magici, castelli infestati, foreste pluviali, mondi futuri, discariche: ecco le passerelle a far sfondo a degli show imperdibili, emozionanti. Fiabe dai titoli diversi… storie raccontate dove l’impossibile vi si materializzava, prendendo forma con gli abiti. Show irrinunciabili. COME LA SFILATA NELLA QUALE GLI ABITI VENIVANO SPRUZZATI D’INCHIOSTRO E LE MODELLE FATTE PASSARE SOTTO UNA DOCCIA che, facendo sciogliere inchiostro e trucco, rendeva il colore degli abiti via via diverso: l’acqua confluiva poi sotto la passerella trasparente, creando l’effetto di un fiume azzurro. Memorabile anche quella in cui le modelle apparivano e sparivano attraverso botole sotto lo stage; o, ancora quella degli scacchi a Parigi… L’ultima: una rivoluzione tecnologica a tutto campo; fantasia sci-fi a base di stampati digitali di tema sottomarino, trasformata in evento mondiale grazie a due gigantesche videocamere robot motion-sensitive su binari. Sinistri atomi con bracci come tentacoli si volgevano verso il pubblico per proiettare poi attorno alle modelle. Un mega schermo LED per mostrare le immagini di una passerella all’infinito… sulle note di una debuttante “Bad Romance” cantata live da Lady Gaga. E blackberries e iPhones del pubblico che si connettevano con il live stream e replicavano anche loro…” … Una forma di narrazione che voglio arrivi intatta al pubblico, senza la mediazione della stampa (!!!)” queste le parole dello stilista. Infranta così la tradizione elitaria della passerella… Un cambiamento epocale esaltato appunto dal techno blockbuster che prefigura un mondo sommerso fatto di aliene venute dritte dritte da un’Atlantide sommersa e creature degli oceani, esaltate da complessi stampati digitali in continua metamorfosi di abito in abito. Pettinature che evocano cavallucci marini e strani esseri anfibi unite a protesi come branchie alle tempie, incorniciano i visi sbiancati.
Colpo supremo di magia con gli abiti medusa dalle trasparenze iridescenti per questa vena horror da vita negli abissi. Incredibili, stupefacenti, straordinari…
Tutti lì per lui, per il suo talento e per quello che avrebbero visto nascere: una fashion experience che mai avrebbe deluso la sua audience spettatrice.
L’abuso di crinoline, bustier, corsetti ad imbrigliare il corpo femminile e fianchi disegnati a mo’ di panier, andranno però ad alimentare le accuse di misoginia al quale lui risponde irriverentemente con cinghie e il costringere le forme in armature. Nulla di più falso. Solo una sorta di difesa dalla quella malizia maschile pronta a sbavare dietro un orlo corto o una scollatura. Ma anche di studio… anatomico: non a caso questi indumenti furono inventati nei secoli scorsi con lo scopo di sorreggere strategicamente determinati punti del corpo femminile.
AMAVA LE DONNE. AMAVA SUA MADRE. AMAVA ISABEL BLOW. E a loro dedicava le sue creazioni degne davvero di essere raccontate.
E’ bello ricordarlo vestito da coniglio, un po’ Donnie Darko, un po’ Bugs Bunny sulla passerella della sua collezione per l’estate 2009. Provocatorio, o forse solo eterno bambino.
Di certo incontentabile, dava quasi l’impressione di non credere in fondo nelle sue qualità. Ma tutti sapevano e sanno, che è stato grande, e la sua visione straordinaria. Visione che induce o porterà (di sicuro) a riflettere su questa frase di TS Eliot: “Solo coloro che rischiano davvero possono scoprire quando lontano si può andare”… Capiamo così quanto Alexander si sia spinto ben oltre