E’ vero, il Gazzettino vesuviano ha preso molto a cuore quanto si sta perpetrando ai danni del Teatro Grande di Pompei. Forse perche, come recita la nostra testata, siamo legati allo sterminator vesevo e conseguenzialmente agli scavi pompeiani, forse solo per amore della verità, ma non riusciamo a tacere come sta facendo quasi tutta la stampa e l’informazione nazionale. Qualcuno ottusamente ha anche provato con la dietrologia. Noi non abbiamo mandanti politici, siamo intervenuti perché amiamo il nostro territorio, le nostre eccellenze e le grandi risorse donateci dalla storia. La lama che ha pugnalato alle spalle il monumento archeologico pompeiano ha ferito anche noi.
Siamo forse l’unico giornale che ha avuto il coraggio di smuovere la melma che di questo passo soffocherà anche il grande maestro che, in barba a quanto combinato sotto gli occhi dei pompeiani e del mondo, inaugura una ristrutturazione che tale non è, una violenza alla storia, alla cultura e al patrimonio archeologico. Proprio da personalità come Muti ci saremmo aspettati un cenno di solidarietà per quello che è sotto gli occhi di tutti ed anche sotto i suoi.
Non si viene a portare la cultura negli scavi, nel Teatro Grande di Pompei, con i paraocchi. Guardare la propria cultura, la propria musica, il proprio genio e non accorgersi di quanto si è offeso, sventrato, danneggiato tutto intorno è quanto meno un comportamento miope. La nostra era e resta una provocazione. Il nostro gruppo su fb “Stop Killing Pompeii Ruins” sta accumulando centinaia di consensi e la nostra richiesta al maestro Muti, in realtà, lo invitava a Pompei. Invitava l’uomo Muti a rendersi conto del danno e ad indignarsi, ma ciò non è avvenuto.
Il direttore Marcello Fiori ha come principale obiettivo, così ha dichiarato nei giorni scorsi, il ripristino della funzionalità dell’area dei teatri. Una funzionalità, ovviamente, riferita al teatro, non al monumento archeologico. Forse non si è accorto che prima di essere un Teatro, quello Grande di Pompei, è un monumento, un bene dell’umanità, le vestigia dei nostri padri. Il direttore Fiori, probabilmente, ha scambiato il Teatro Grande e tutta l’area ad esso adiacente, per una stazioncina ferroviaria danneggiata dai vandali, e resa inagibile agli utenti. Sempre il responsabile dei lavori parla di interventi rimuovibili. Questo non può che farci sorridere. Tutto è rimuovibile, ma purtroppo nella fattispecie, non è mobile, cosa meno invasiva e meno costosa, sia per la posa che per la eventuale rimozione.
A noi non interessa avere un teatro “funzionante”, magari un nuovo teatro, quello sì. Milioni spesi per danneggiare ed imbrattare parte degli scavi più visitati al mondo quando Pompei non ha un vero teatro cittadino (neanche un cinema). Certo un teatro nuovo non può essere venduto facendo leva sul fascino del sito romano, ma quello che ci resterà non è altro che uno scempio lasciato ai nostri figli. Una sorta di riproduzione di una verità, che era tanto più vera quando ci lasciava l’immaginazione e il rapimento che i resti antichi infondevano negli animi predisposti.
Purtroppo come spesso capita nessun colpevole. I responsabili si danno e ci propinano delle spiegazioni dettagliate di uno “spreco” ingiustificato, ma anche non volendo confutarle, cosa del resto semplice, veramente nessuno sentiva il bisogno di quanto realizzato.
In tutto questo marasma il sindaco D’Alessio da noi investito della questione, dopo averci assicurato il suo interessamento, ha preferito essere presente all’evento che suggella lo scempio a seguito di un invito giuntogli solo poche ore prima del concerto.
Di certo l’amministrazione della Pompei moderna poco o nulla può nei confronti della Soprintendenza Archeologica e delle sue decisioni, ma ci saremmo aspettati una presa di posizione meno ambigua, nettamente lontana da una complicità quanto mono morale.
Oggi Pompei ha un “nuovo” teatro, ma ha perso un pezzo di storia, chissà se ci ha guadagnato…
Chissà chi ci ha guadagnato.
Gennaro Cirillo