Non basta il calcio a farci essere italiani

Si sente ripetere: siamo tutti più italiani se per i mondiali di calcio esponiamo e sventoliamo il tricolore. Facile e finanche banale.

Ma ci sentiamo tutti e sempre più italiani anche quando ci dicono che compriamo le partite, calpestiamo i più deboli, eleviamo a valore la furbizia e la prepotenza, vogliamo limitare per legge la libertà di stampa ed usiamo la protezione civile finanche per traslare (a caro prezzo) le spoglie di Padre Pio e per gestire (malissimo e a caro prezzo) uno dei più grandi patrimoni culturali dell’umanità come gli scavi di Pompei?

A questa domanda in molti non daranno alcuna risposta. A che serve, diranno, porsi tanti perché in un paese che ormai non risponde più a nulla se non alla logica della sopraffazione e dei furbetti?

Se questa ipotesi di risposta soddisfa la maggior parte dei presunti italiani, vuol dire che il paese è ormai diviso tra rassegnati e scontenti. Tra coloro che tirano a campare e condividono lo slogan “Meno male che Silvio c’è….” e molti altri che sono scontenti ma non indignati.

Entrambi, di fatto, formano una larga maggioranza (ben più ampia di quella politica), che alimenta e legittima (con il disinteresse, non con il consenso attivo) gruppi di potere spesso incapaci, molto autoreferenziali, impegnati ad occuparsi di tutto tranne che, raramente, di amministrare con responsabilità il cosiddetto “bene comune”, confuso, molto spesso, con i “beni” che hanno “in comune” diversi compari tra loro.

Manca, dunque, una terza categoria di persone che chiameremo degli “indignati”, di coloro, cioè, che non vogliono far finta di essere “ciechi e muti” e con agire moderato, ma fermo, nella legalità e nella prospettiva oggettiva di servire la difesa del “bene comune”, compiono azioni politiche che servono a richiamare alla responsabilità prima che i singoli cittadini, le istituzioni che si occupano dell’amministrazione di enti locali, dei servizi al cittadino, della giustizia e del patrimonio ambientale e culturale, dei valori e delle diversità che rendono la società il luogo delle idee, della speranza, delle opportunità, delle certezze e di un buon futuro, proprio per tutti, italiani compresi.

Antonio Irlando

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