Thomas Hobbes, pensatore politico inglese, nel “Leviatano” sosteneva che gli uomini, per risolvere il loro egoismo, dovevano affidare tutti i loro diritti alle Istituzioni, che quindi avevano il compito di garantire sicurezza e ordine pubblico all’interno dei propri confini. Se fosse ancora in vita, però, Hobbes darebbe a Pimonte il ruolo di eccezione, perché da questa settimana si è avuta l’ennesima riprova dell’azione inefficace della politica pimontese che arriva a chiudere le porte del consiglio pur di non far ascoltare alla cittadinanza ciò che accade nelle stanze del Comune. Martedì sera, infatti, era in programma il consiglio comunale monotematico che avrebbe dovuto far luce sulla lite verbale verificatasi due settimane fa tra 3 dipendenti comunali, tra cui la moglie di un consigliere di minoranza. Si è assistito ad un remake di urla, pesanti insulti, paradossi incredibili e liti furibonde e, successivamente, ad un conclave dal quale sono emersi solo leggeri spifferi. Al termine della seduta si è messa a votazione una proposta che dovrebbe prevedere dei provvedimenti disciplinari nei confronti di alcuni dipendenti comunali. Sulla vicenda però si è scatenato un nuovo polverone politico. «In questa vicenda la minoranza ha mostrato tutti i suoi limiti – afferma Carmine Palomba, assessore della giunta guidata dal sindaco Giuseppe Dattilo -. I consiglieri di opposizione hanno minacciato di abbandonare l’aula se il consiglio non fosse stato svolto a porte chiuse. Peccato che a essere penalizzati siano stati i cittadini che, credo, avevano il diritto di assistere a questo dibattito». Non si è fatta attendere la replica da parte della minoranza. «Abbiamo discusso di una vicenda privata, relativa a tre persone – afferma Antonio Durazzo, esponente di Noi Sud e vicepresidente del Consiglio provinciale -. Pertanto abbiamo ritenuto opportuno richiedere la riservatezza su questo problema che interessa esclusivamente tre dipendenti comunali». La lite verbale potrebbe presto avere degli strascichi giudiziari. Ma intanto sul caso è intervenuto anche Antonio Cuomo, segretario cittadino del Pd. «Esprimo, a nome del partito democratico, il disappunto per come la destra pimontese ha mortificato le funzioni del Consiglio comunale – afferma -. Se era urgente una convocazione del più importante organo di espressione della democrazia locale i cittadini avevano il diritto di essere informati dell’ordine del giorno e del contenuto dello stesso. Non esiste comunque, a mio parere, nessun argomento di interesse generale che i cittadini non possano conoscere. Non entro nella legittimità e nelle procedure amministrative, certamente rispettate, ma nell’opportunità politica di far svolgere un Consiglio che nella memoria cittadina non ha precedenti per essere iniziato con l’allontanamento dei presenti». A margine una considerazione. Superfluo dire che martedì, ancora una volta, è stata la cittadinanza ad uscire sconfitta e ad essere presa in giro. Più interessante affermare che in questa occasione più che mai si è avvertito come il Consiglio comunale di Pimonte si sia ormai ridotto a un vero e proprio “teatrino della politica”, sempre più carnevalesco, sempre più sofferente e, questa volta in particolare, sempre più lontano dai cittadini che si mettono addirittura alla porta. In un periodo in cui non si fa altro che parlare di trasparenza e dintorni, poi, la decisione di risolvere tutto a porte chiuse, lascia quantomeno perplessi. Se è questa la “legalità” e la “trasparenza” che i pimontesi si meritano, è altamente improbabile che il vento del cambiamento possa soffiare da queste parti.
Francesco Fusco