Suolo avvelenato e agricoltura biologica: chi garantisce la qualità certificata?

Un noto filosofo tedesco, Ludwig Feuerbach, disse «Siamo ciò che mangiamo» una verità sacrosanta, che ci aiuta a riflettere su quello che noi campani stiamo diventando, mangiamo i prodotti coltivati nelle nostre terre e dovremmo essere fatti della stessa sostanza della natura, ma i recenti fatti di cronaca ci restituiscono una realtà durissima da affrontare, le nostre campagne, quelle di Poggiomarino, così come quelle del casertano, sono ridotte a vere e proprie discariche, nei territori più fertili della prosperosa Campania, la felix degli antichi romani, sono stati sepolti rifiuti di ogni genere e sostanza che avvelenano il suolo, contaminano l’acqua, inquinano l’aria e compromettono la nostra salute.

Siamo ciò che mangiamo e allora siamo fatti di veleno, perché quello che mangiamo viene dalla terra avvelenata, non si facessero illusioni coloro che spendono fior fiori di euro per acquistare i cosiddetti “Prodotti dell’Agricoltura Biologica” perché se queste sono le premesse non si riesce proprio a capire con quali criteri si certifica la qualità delle nostre produzioni agricole.

La Federazione Internazionale dei Movimenti per l’Agricoltura Biologica (International Federation of Organic Agriculture Movements), definisce l’agricoltura biologica come: «Tutti i sistemi agricoli che promuovono la produzione di alimenti e fibre in modo sano socialmente, economicamente e dal punto di vista ambientale. Questi sistemi hanno come base della capacità produttiva la fertilità intrinseca del suolo e, nel rispetto della natura delle piante degli animali e del paesaggio, ottimizzano tutti questi fattori interdipendenti. L’agricoltura biologica riduce drasticamente l’impiego di input esterni attraverso l’esclusione di fertilizzanti, pesticidi e medicinali chimici di sintesi. Al contrario, utilizza la forza delle leggi naturali per aumentare le rese e la resistenza alle malattie».

In sintesi dunque il termine “biologico” identifica quel tipo di agricoltura che viene ottenuta attraverso un metodo produttivo rispettoso della natura, che non ricorra ai prodotti di sintesi (fertilizzanti, pesticidi, fitofarmaci) e che sia conforme ad una serie di norme che vincolano il produttore nel modo di operare così da garantire la qualità “certificata”. Da quanto si evince consultando il sito web dell’Assessorato all’Agricoltura della Regione Campania (www.sito.regione.campania.it) a disciplinare la materia nel nostro territorio è il Regolamento CEE N. 2092/91 (peraltro abrogato dal più attuale Regolamento (CE) N. 834/2007 ) che impone le seguenti regole caratterizzate da: «Sistemi di controllo equivalenti istituiti negli Stati Membri controllato dalle autorità pubbliche; da numerose limitazioni nei processi produttivi quali: – uso di materiale di riproduzione vegetativa rigorosamente non modificato geneticamente ed ottenuto anch’esso con metodo di produzione biologico – divieto di usare principi attivi di sintesi per la difesa fitosanitaria delle coltivazioni e per la concimazione e l’ammendamento; un uso ridottissimo di additivi alimentari, aromi, ausiliari di fabbricazione, eccipienti nelle preparazioni alimentari».

Tutte queste “belle” parole, tutti questi divieti e termini tecnici della normativa stridono con la dura realtà e perdono ogni loro significato perché alla base della nostra produzione agricola c’è un suolo pesantemente compromesso, falde acquifere inquinate, aria avvelenata. A chi credere, alle etichette che certificano che tutto è buono e bello o alla realtà in cui viviamo? Qualcuno può dirci realisticamente cosa possono mangiare i nostri figli, povere vittime innocenti, avvelenati da questa folle umanità.

Ferdinando Fontanella

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