Pompei: “Il Teatro Grande? Un’arena da villaggio turistico”

“Più che un teatro antico, sembra un teatro da villaggio turistico”. Il riferimento, anche se può sembrare strano a leggere queste dichiarazioni, è al Teatro Grande di Pompei il cui recente restauro continua a far discutere studiosi ed esperti di turismo e beni culturali.
In questo caso, l’accostamento dell’antico teatro pompeiano a quello di un villaggio turistico è di Luigi Garzillo, dal 1971 al 2008 dirigente dell’Azienda di cura, soggiorno e turismo di Pompei.
L’ex direttore dell’azienda di promozione turistica, pur senza entrare nel merito della polemica e delle disquisizioni tecniche del caso, fa alcune considerazioni sul recente restauro del Teatro Grande che ha spaccato a metà l’opinione pubblica e la critica scientifica. Scempio o intervento necessario e rispettoso del sito?
Diversi i pareri al riguardo, come più volte riportato anche sul nostro settimanale. D’altra parte proprio nell’antico teatro romano, dagli anni ’80 e fino al 2008 si sono svolte numerose iniziative culturali, tra spettacoli e concerti.
Dott. Grazillo, lei è tornato fisicamente nel Teatro Grande di Pompei, a distanza di alcuni anni dagli spettacoli organizzati e vissuti in prima persona?
“Si, ma solo per un attimo. Devo dire che il sopralluogo nell’attuale Teatro Grande mi ha lasciato deluso.
Mi sembrava quasi di non ritrovarmi più nell’antico teatro degli scavi, ma piuttosto, in quello di un villaggio turistico destinato all’intrattenimento dei vacanzieri e non, invece, per chi vuole essere spettatore di un teatro di oltre duemila anni fa”.
Che sensazione le ha trasmesso il fatto di essere nel “nuovo” Teatro Grande, ovvero dopo il recente restauro?
“L’amarezza di chi scopre la violenza di una ricostruzione eccessivamente perfetta e non di un prudente restauro. Proprio nel Teatro Grande dove ho operato per circa 40 anni da direttore dell’Azienda turismo, in simbiosi col sito archeologico nell’organizzazione di eventi di grande prestigio internazionale: le “Panatenee Pompeiane” e il “Festival Internazionale del Jazz”, il teatro classico e la commedia antica, “Classico Pompeiano”, contenitore di teatro, musica ed eventi letterari come “Mediterraneo”.
Un’esperienza davvero unica e particolare.
“Particolare” in che senso? È riuscito a riprovare le emozioni degli anni passati?
“È vero che ognuno intende il “restauro” secondo la propria filosofia estetica, anche perché oggi in un’epoca caratterizzata dai rifacimenti di chirurgia plastica si tende alla perfezione del bello e del nuovo; questo, però, può avvenire per qualche velina, ma non per il Teatro di un sito archeologico.
È come ritrovarsi di fronte ad un corpo umano diventato manichino che non riesce ad esprimersi con l’autenticità che solo il tempo della storia sa conferire. Sarebbe interessante recuperare dai depositi le antiche pietre che costituivano le gradinate del Teatro Grande… Ma a questo punto resta solo la speranza che i “restauri” si fermino qui”.
Gli spettacoli nel Teatro Grande, dunque, sono stati sempre fatti. In definitiva il restauro era necessario o la struttura poteva essere utilizzata pur rispettando un “equilibrio” tra agibilità, sicurezza e tutela del patrimonio?
“Non voglio entrare in una sterile polemica: quando si fa qualcosa di importante come un restauro, allora vuol dire che è sempre necessario ed utile”.
Ma perché ricostruire integralmente il Teatro Grande e non fermarsi ad un “semplice” restauro?
“Ogni anno per gli spettacoli nel Teatro Grande si affrontavano grosse difficoltà tecniche, che venivano però superate attrezzando il sito per conseguirne l’agibilità, ottenendo così uno spazio sicuro per 1.000 o anche 1.200 spettatori. Ovviamente era necessario montare e smontare il teatro ogni estate, così come si doveva ottenere ogni anno l’autorizzazione dalla commissione spettacoli della Prefettura e della Soprintendenza archeologica.
Vivevo con grande passione queste attività, verificando ogni particolare a livello di backstage o da spettatore dell’ultima gradinata da cui si poteva meglio coordinare la gestione tecnica.
Ma, nonostante tutto, si era soddisfatti perché si operava nel rispetto della sacralità del luogo e restituendo una funzione vitale ad un antico teatro che era unico al mondo dall’epoca dello scavo fino a quest’ultima primavera”.
Angela Del Gaudio
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