La prima fu quella pomeridiana di Giancarlo Siani. Erano circa le 15 di un pomeriggio afoso ed ero a casa. Lo sentii, come quasi ogni giorno, da quando era a Napoli, in redazione al Mattino, da “regolare abusivo”, per coprire compiti giornalistici lasciati da redattori in ferie.“E’ tutto tranquillo, oggi nessuna novità?”, mi chiese sentendosi pur sempre il corrispondente della “sua” Torre Annunziata che, ormai, seguiva dal capoluogo ed aggiunse: “Qui mi annoio e sono stanco, ma spero che serva a qualcosa”, dove quel qualcosa stava per la possibilità di avere un contratto giornalistico stabile. Gli dissi alcune cose che lo rincuorarono e ci lasciammo con l’impegno di vederci nei giorni successivi.
La seconda telefonata mi raggiunge intorno alle 22 alla redazione del giornale “TgCooper”, una bellissima esperienza giovanile di giornalismo ed impegno civile. Al telefono è il Comandante della compagnia dei Carabinieri di Torre Annunziata, Gabriele Sensales, un ufficiale di grande valore con il quale quotidianamente io e Giancarlo ci confrontavamo per capire quanto accadeva a Torre Annunziata.
“Ciao Antonio, sono Gabriele, vedo che sei al giornale, non muoverti che vengo subito io, ti devo dire una cosa”. Era sempre stato di poche parole ma quella volta esagerò. Fu un fulmine. Non ricordo cosa pensai ma certamente ritenni che doveva anticiparmi (come era avvenuto altre volte in virtù di una consolidata reciproca fiducia) qualche grossa notizia per il giorno dopo. Il tempo di un istante e realizzai che quanto doveva dirmi era qualcosa di diverso da una grande notizia. Il Capitano non era mai venuto da me, ero sempre io andato in Caserma e poi, a quell’ora… Furono attimi particolari, quando sento bussare alla porta del giornale. E’ lui in compagnia di due giovani brigadieri, il terrore dei delinquenti dell’area vesuviana.
Le facce sono cupe come non le avevo mai viste, la notizia che mi danno subito le spiega: “A Napoli, sotto casa hanno ammazzato Giancarlo”. Per loro è subito chiaro: è stata la camorra. Ricordo sui volti l’amarezza profonda, Giancarlo lo sentivano umanamente uno di loro e si capiva che avrebbero fatto di tutto per assicurare alla giustizia “quei bastardi”, come disse con grande rabbia e con le lacrime agli occhi uno dei due giovani brigadieri. Mi dissero altre cose riguardo al lavoro che era già partito a Torre Annunziata e che sarebbe andato avanti per tutta la notte, con posti di blocco e perquisizioni nelle case di molti affiliati al clan camorristico di Valentino Gionta.
“Che fai?”, mi disse il Capitano, con garbo ma anche con tanta fretta di dare la caccia ai killer di Giancarlo, “perché non vai a casa, ti accompagniamo noi”. Dopo tempo seppi che Gabriele Sensales era preoccupato, per il semplice fatto che sapeva, più di ogni altro, il rapporto di condivisione professionale e umana che legava me e Giancarlo. Per molto tempo, con stile e discrezione, insieme a tanti straordinari militari, non mi fece mancare la quotidiana affettuosa vicinanza dei Carabinieri.
Questa è la mia personale ed inedita “cronaca” di quel tristissimo giorno. Potrei continuare, indietro negli anni e i ricordi sarebbero tutti belli, profondamente belli, perché ricordo il Giancarlo vero, quello con il taccuino, con la Mehari che girava per Torre Annunziata relazionandosi con tutti con un sorriso, con l’aria disillusa, non triste e seriosa, non da divo… Una persona che tutti avevano piacere di incontrare. Non ricordo che sia stato mai insultato o “avvertito” da un parente di un pregiudicato finito nelle sue precise, puntuali e mai eccessive cronache. Nelle sue corrispondenze Giancarlo spiegava quanto accadeva, raccontava bene i contesti, offriva un quadro chiaro, lucido che era sempre attendibile. Era una persona seria, un giornalista-giornalista (secondo la chiara definizione di Marco Risi nel recente ed ottimo film “Fortapàsc”, dedicato a Giancarlo) non fanatico. Anche in trenta righi spiegava, non sprecava parole. Il suo lavoro non si esauriva nel fatto di cronaca. Voleva sempre capire e possibilmente far capire quanto male la camorra faceva alla città, alla gente. Lo faceva con intelligenza e prudenza, con i temi e il linguaggio della cronaca, consapevole dei limiti di spazio e di politica editoriale che il suo giornale adottava in quel periodo storico.
Quello che non riusciva a scrivere restava nelle nostre riflessioni, durante le quali capivi chiaramente che amava la gioia della vita, ed immaginava anche per la “sua” Torre Annunziata, un futuro senza camorra e politici corrotti e conniventi.
Le sue corrispondenze, anche se brevi e senza la prosa dell’inchiesta, sembravano capitoli di un racconto che si svolgeva giorno dopo giorno. Questa era una sua grande e naturale capacità. I lettori di Giancarlo erano ben informati ed anche “formati” dalle sue cronache. Questo era il suo modo originale di denunziare e spiegare il malaffare. Uno stile sobrio, espresso con concetti e parole semplici, riconosciuto come attendibile e per questo certamente sgradito ai camorristi che hanno ordinato di ammazzarlo, ma non sono riusciti a zittirlo perché oggi Giancarlo “parla” a tantissimi giovani di legalità, di pace, di solidarietà e della necessità di iniziare ad essere cittadini attivi e costruttori di buon futuro.
Giancarlo è morto, ma emana un profumo di vita.
Antonio Irlando