Gettando un’occhiata fra gli scaffali di una libreria in via Roma a Napoli, ho notato, stampata sulla copertina di un libro, l’immagine di una ragazzina di tredici, quattordici anni, alle cui spalle si ergeva un paesaggio industriale. Ad avvolgere il tutto, vi era un’etichetta, la quale informava il lettore che il libro era risultato finalista dell’ultima edizione del prestigiosissimo premio “Strega” 2010. L’autrice era Silvia Avallone, classe 1984, laureata in filosofia e sconosciuta nel panorama letterario italiano fino alla pubblicazione di questo libro.
“ Acciaio “ è un tipico romanzo di formazione, genere letterario, cioè, che narra il passaggio dall’adolescenza all’età adulta dei propri protagonisti. Anna e Francesca sono due ragazzine dei caseggiati popolari di Piombino, in Toscana, che passano le proprie giornate fra bravate, bagni di sole e passeggiate con gli amici. Amiche per la pelle fin da quando erano bambine, le due ragazze non hanno altra certezza al mondo che il loro legame non si spezzerà mai: tutto il resto è solo squallore, con la fabbrica di acciaio che ha fatto ammalare tutti, uomini e animali, e con il rischio di finire o incinte a sedici anni, oppure commesse di qualche negozietto di periferia. Poi però qualcosa cambia, e nel diventare adolescenti Anna e Francesca scopriranno che anche la loro amicizia, baluardo imperituro, destinata a non finire mai, può essere debole e gracile come un giunco, e rompersi a contatto con la tragicità dell’esi-stenza.
Confesso che sulle prime ho creduto che questo libro fosse un romanzo alla Federico Moccia, pieno di sentimentalismi e falsi modelli; invece, l’autrice si è rivelata attenta e capace nel cogliere tutta la problematicità legata alla sviluppo della personalità in una periferia italiana. Il suo messaggio, però, è di speranza, in quanto solo i legami cementati con i veri valori hanno la speranza di durare nel tempo.