Fluoruri, ferro, manganese, nichel e zinco presenti oltre i limiti previsti nelle acque di falda sottostanti la discarica SARI di Terzigno. Superamento delle concentrazioni limite anche per quanto concerne cadmio, PCB (prodotti chimici industriali: vernici, ecc.), ALDRIN (pesticida, più pericoloso del DDT), benzo(a)pirene (idrocarburo cancerogeno). Questo il drammatico elenco delle sostanze rinvenute nelle analisi effettuate sui pozzi spia della discarica dall’ASIA, gestore del sito in partnership con Ecodeco (gruppo A2A). Ancor più preoccupante lo scenario appare se si pensa che chi ha effettuato le analisi, l’ASIA, incarna allo stesso tempo il controllore ed il controllato.
Questi dati derivano infatti da un carteggio, datato settembre 2010, intrattenuto dal gestore della discarica del Vesuvio e la Provincia di Napoli in merito al periodico monitoraggio dei piezometri presso l’impianto in questione. E’ qui che si sostanziano le prove, incontrovertibili, che il disastro ambientale ai piedi del vulcano è già stato compiuto: “generale compromissione delle acque di falda”, scrive l’ASIA nella sua nota.
Il fatto è che queste informazioni sono la punta dell’iceberg di una continua, quanto metodica attività di controllo della discarica di cui nessuno è a conoscenza, in primis le popolazioni. Ci sono sicuramente, assopite in qualche polveroso cassetto di qualche solerte funzionario comunale, centinaia e centinaia di fogli che potrebbero maggiormente suffragare la tesi del crimine commesso ai danni di un’area una volta considerata tra le più fertili della regione.
Molti documenti, infatti, già da tempo evidenziavano l’elevato tasso di inquinamento del territorio. Basti pensare al rapporto dell’Istituto Superiore di Sanità del 2004, oppure alle indagini condotte dall’ARPAC nello stesso anno sulle acque di falda. Certo, i dati precedenti riguardavano la devastazione procurata dalla vecchia discarica SARI, in mano alla criminalità organizzata, chiusa nel 1995. Già allora, però, tali agenzie avvertivano sui possibili rischi nell’utilizzare l’acqua di falda per irrigare i campi circostanti, vigneti, frutteti e quant’altro, nel tentativo di limitare la contaminazione della catena alimentare. Come già certificavano, scientificamente, nessi strettissimi tra la presenza di una discarica mai bonificata e l’elevata percentuale di malattie cardiovascolari e malformazioni congenite nei paesi confinanti.
Oggi, nel tentativo di sfuggire allo scaricabarile delle responsabilità, gli attuali gestori (lo stato in combutta con le imprese amiche, usando i militari e le amministrazioni complici) che usano i buchi alla stregua della camorra, sversandovi di tutto ma con la differenza di agire legge (d’emergenza) alla mano, qualcosa fanno trapelare. Sarà perché negli ultimi giorni si parla tanto di denunce penali che si addensano presso la Procura di Nola per far luce sullo scempio in atto, o forse per ufficializzare che i controlli ci sono e quello che di negativo c’è è da imputarsi al passato?
Resta a far da contraltare a questo balletto una realtà contraddistinta da un avvelenamento generalizzato ed una complicità tra politica e imprenditoria che ha sacrificato sull’altare del profitto l’interesse collettivo di ieri, di oggi e di domani.
Vincenzo Iandolo