Le cronache sempre più spesso riportano fatti ed eventi catastrofici in concomitanza o a seguito di eventi piovosi intensi e prolungati. In quest’ultimo mese hanno destato grande scalpore due eventi che si distinguono per dimensioni e per ubicazione geografica: il crollo della Domus dei Gladiatori nel sito archeologico di Pompei e l’alluvione nel Veneto. I due eventi catastrofici hanno in comune le forti precipitazioni che hanno colpito la nostra nazione agli inizi di novembre.
Le stesse hanno determinato anche allagamenti e ingenti danni all’economia nel Salernitano. Nello scorso settembre la costa Amalfitana è stata teatro di un altro evento calamitoso, la frana di Atrani, che ha provocato la vittima di una giovane donna. Sempre ad Atrani, nel mese di gennaio, una frana di crollo ha investito un locale di ristorazione provocando una vittima. Gli eventi citati, solo un breve elenco del 2010, costituiscono il cosiddetto dissesto idrogeologico e le cause sono essenzialmente di natura geologica, geomorfologia e idraulica. Per ridurre questo problema occorre un’adeguata politica di prevenzione, che non si fermi solo ad indagini preliminari e sommarie, che non sempre vengono eseguite, ma continui anche nella realizzazione di opportuni interventi ed opere di mitigazione del rischio.
Ritornando a Pompei, la domanda resta sempre e solo una: perché si è verificato il crollo della “Schola Armaturarum” in via dell’Abbondanza? Il crollo avvenuto la mattina del 6 novembre scorso era stato preceduto da un fatto importante, ossia dal cedimento di un muro di contenimento del terrapieno nel vicoletto di Ifigenia, posto alle spalle dell’edificio crollato. La causa del crollo, pertanto, va collegata alla presenza del terrapieno e alle spinte laterali che esso determina. La spinta incrementa con l’aumentare della quantità d’acqua interstiziale contenuta nel terrapieno proprio in seguito ad eventi piovosi intensi e prolungati. Anche nel sito archeologico più importante del mondo si presenta, a grande voce, il problema geologico del territorio.
Pompei antica è una realtà che si estende su un’area archeologica di 66 ettari. Distribuiti su tutta l’area archeologica, come nel caso di Via dell’Abbondanza, si notano cumuli di terreni di risulta degli scavi iniziati nel 1748, tali terreni di riporto sono caratterizzati da scadenti caratteristiche fisico-meccaniche e spesso sono disposti formando dei pendii ripidi con altezze di alcuni metri. Il crollo del 6 novembre scorso deve farci riflettere sul futuro, in quanto non lo si può considerare un evento isolato.
L’aspetto geologico del sito storico di Pompei non va sottovalutato, altrimenti nel corso dei decenni l’Italia vedrà dissolvere il sito archeologico più importante e visitato del mondo. Solo attraverso un’accurata politica della prevenzione nella gestione del territorio si potranno evitare tanti disastri che si traducono sempre in perdite culturali ed economiche.
Il Geologo dott. Carmine Vitiello