Noi fotografi siamo cresciuti e abbiamo ancora indelebili dentro di noi le foto di guerra di Robert Capa e ancora oggi quando muore un fotografo di guerra, e sono tanti, proviamo compassione dolore e sdegno.
Nei momenti critici della storia dell’uomo la fotografia è sempre lì e i fotografi in prima linea, armati di solo macchina fotografica, rischiando la propria pelle con la speranza che la loro testimonianza sugli orrori del mondo diventi un messaggio di pace.
Testimoni del nostro tempo fotografi free-lance e non, viaggiatori solitari che con la loro bisaccia tecnologica viaggiano da un continente all’altro, da un villaggio di frontiera a una metropoli assediata dalla guerra libera e duratura, alle rivoluzioni di popolo, alle carestie perenni, alle esecuzioni sommarie di pulizia etnica.
Noi fotografi siamo cresciuti solidarizzando con quei fotografi che con la fotografia hanno con coraggio denunciato la mafia, ricevendone minacce e umiliazioni.
Al contrario del nostro assessore alla cultura Miraglia quando afferma che “i soldi non puzzano”, noi riteniamo che la provenienza del denaro abbia fondamentale importanza quando si parla si fondi che dovrebbero sostenere un Museo.
Riteniamo opportuno sottolineare la differenza che per questioni etiche e morali deve esistere, tra i soldi che guadagna un reporter di guerra, un precario e quelli di un mafioso o una ditta che produce macchine da guerra.
A noi fotografi napoletani piace continuare ad auspicare che il nostro museo cittadino di riferimento, il museo Madre, sia sempre di più un luogo dove si produce e presenta arte, libera e protetta da qualsiasi condizionamento esterno.
Il nostro Museo ci piace molto quando è pieno di bambini che lavorano con gli artisti e presentano li i loro progetti e quando il lunedì l’ingresso è libero a tutti, tutti ed è pieno di giovani che visitano le mostre.
Leggiamo che la “Mbda”, impresa italiana che produce missili, vuole sponsorizzare le attività del Madre. Ci chiediamo: cosa potremmo mai dire ai tanti scolari che hanno animato i corsi e i laboratori che si svolgono nel museo o ai tanti giovanissimi visitatori, quando ci chiederanno cosa produce uno dei soci o sponsor di cui leggono il nome sulle guide, sui cataloghi, sulle pubblicazioni del Museo?
No, noi fotografi napoletani presenti ora al Museo con la mostra “O VERO” non ci sentiamo di esporre le nostre opere qualora si dovesse trovare un accordo con una multinazionale che produce armi e nulla ci potrà convincere che chi fabbrica missili, siano essi di attacco o, come strenuamente alcuni affermano, di difesa, possa essere uno sponsor senza “cattivi odori”.
I fotografi napoletani di “O VERO”, non condividendo nessun taglio alla cultura imposto da un governo cieco al punto da non accorgersi che la cultura è la terza fabbrica nazionale, sono solidali con i tanti artisti che hanno preso posizione contro questa ipotesi di partnership. Comprendono e apprezzano le scelte di alcuni di loro a ritirare le opere dalla collezione permanente e sono pronti a togliere le proprie foto anche in corso d’opera e a mostra ancora aperta, lasciando gli spazi vuoti, bianchi, come immagine emblematica del vuoto di valori che una classe dirigente povera di contenuti vuole divulgarci. Questo è lo spirito e la missione dei fotografi, l’arte deve servire a scuotere le coscienze, non a massificarle sul volere del controllore di turno.