Quando il Papa ieri si è detto preoccupato di vedere nella crisi morale ed istituzionale del nostro tempo una condizione simile al periodo che precedette la caduta del potentissimo impero romano non stava certamente pensando ai crolli di edifici della città romana di Pompei.
Per i crolli pompeiani ci ha pensato il “New York Times” che impietosamente ha scritto: “Gli scavi che crollano sono la metafora dell’instabilità politica italiana e rappresentano l’incapacità del Paese di difendere il proprio patrimonio culturale”.
E dovrebbe pensarci anche la magistratura che con tre inchieste aperte sui crolli, sulla gestione e sui lavori fatti a Pompei, dovrebbe finalmente dare risposte a due domande ripetute più volte da giornalisti di ogni parte del mondo (esclusi, ovviamente, gli sconfortati giornalisti italiani): “Sono stati individuati i responsabili di questo stato di cose e quali provvedimenti sono stati presi nei loro confronti?”.
Benedetto XVI è stato ancora una volta molto chiaro e ci ha spiegato perché stiamo vivendo un’epoca che ci rende tutti angosciati.“Il disfacimento degli ordinamenti portanti del diritto e degli atteggiamenti morali di fondo, che ad essi davano forza – ha detto il Papa parlando della fine dell’Impero di Roma – causavano la rottura degli argini che fino a quel momento avevano protetto la convivenza pacifica tra gli uomini. Un mondo stava tramontando. Non si vedeva alcuna forza che potesse porre un freno a tale declino” .
Le dispute personali, le vendette tra bande caratterizzano oggi la scena politica e si antepongono, ad esempio, alla necessità di capire cosa in questi giorni stanno cercando di chiedere i giovani (non i violenti) che manifestano a Roma e in molti angoli d’Italia per continuare a sperare che il futuro riservi loro spazi di affermazione nella vita.
Le dispute sui due poli, no su tre o forse anche su quattro, non appassionano più nessuno, anzi disgustano tantissime persone (le maggioranze) da qualsiasi lato geometrico della politica le si guardino.
Sono le maggioranze di cittadini che, soprattutto da queste parti, nell’angolo di terra che il Vesuvio minaccia, ma non spaventa, non vogliono più essere definiti “rassegnati e passivi”.
Sono le maggioranze di gente a cui le maggioranze della politica stanno uccidendo la speranza e la voglia di far ripartire l’Italia. Lo fanno quando si ostinano a non occuparsi del lavoro che si perde, della povertà che dilaga, di tanti giovani che soffrono, dei delusi che aumentano, dell’economia in recessione e del patrimonio culturale che crolla.
“Il mondo è angustiato dall’impressione che il consenso morale si stia dissolvendo – ha spiegato il Papa – un consenso senza il quale le strutture giuridiche e politiche non funzionano; di conseguenza, le forze mobilitate per la difesa di tali strutture sembrano essere destinate all’insuccesso”.
Augurarsi buon Natale è includere l’augurio di accorgersi, accogliere e vivere la più grande esperienza della storia umana di cui è protagonista un uomo che, nonostante la nostra indifferenza, da duemila anni è tra noi, al nostro fianco e discretamente fa quello che tutti chiedono alla politica, di essere in mezzo alla gente, di farsi carico dei problemi e di indicare gli obiettivi da perseguire perché il bene comune non venga calpestato e distribuisca frutti a tutti.
Antonio Irlando