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Il Natale stabiese: colori, sapori, suoni e profumi

Il Natale è certamente la festa per antonomasia, quella che per unicità e magnificenza, brilla sempre di luce propria ed illumina case e famiglie. Nasce Nostro Signore, il mondo cristiano si rinnova, nell’anima e nello spirito, per un evento che riempie di gioia e mitiga i cuori. Castellammare, con la sua “dodicina” dell’Immacolata Concezione, vanta forse le celebrazioni natalizie più lunghe. Per devozione alla Madonna, infatti, durante i dodici giorni che precedono l’8 dicembre, i cantori di “Fratielle e surelle”, alle prime ore del mattino, scendono in strada per intonare un’antica nenia che invita i fedeli a recarsi in chiesa per recitare il Rosario alla Madonna. Una tradizione popolare prettamente stabiese che culmina con i tradizionali “fuocaracchi”, accesi in onore alla Immacolata, nella notte tra il 7 e l’8 dicembre. Un degno antefatto che nel giorno dedicato alla Madonna, fa da preludio ai preparativi natalizi, ben graditi ai grandi ed attesissimi dai più piccini, perché in tutte le case entrano in scena i tradizionali presepi e gli alberelli da addobbare e le strade si colorano di suggestive luminarie, che donano alla città un’atmosfera più tranquilla e gioviale. Il Natale oggi, come ieri dà la possibilità di vivere in famiglia le tradizioni culinarie, artigianali ed artistiche, e di vivere più intensamente colori, sapori, profumi e suoni, che caratterizzano questo particolare periodo festivo. In ogni casa, vi è un addobbo: c’è chi predilige l’albero, chi non abbandona la tradizione presepiale di famiglia e chi senza batter ciglio allestisce sia l’albero che il presepe. La tradizione culinaria, poi è tutta un programma: le tradizionali zeppole dell’Immacolata con i “diavulilli colorati sopra”, nei giorni a seguire lasciano spazio a pietanze ben più consistenti, le pescherie in un tripudio di colori e di freschezza mettono in mostra i migliori prodotti ittici che il mare riesce ad offrire e nelle vigilie di Natale e Capodanno vengono prese letteralmente d’assalto. Le tavole vengono imbandite con le pietanze più disparate, ecco come il prof. Bonuccio Gatti, nella sua poesia “Aspettanno ‘a Mezzanotte”, magistralmente illustra ciò che accade nelle case stabiesi: “Dint’‘a cucina, ll’urdeme priparative p’‘o cenone d’‘a Vigilia: mammà e zizia, cu cura e cu dovizia, hanno priparato tutte cose, secondo ‘a tradizione: ‘a sarzulella cu ‘e vongole e ‘e lupine, ‘o baccalà fritto, ‘e vruoccole ‘e Natale, ‘a frittura ‘e gambere e calamare, ‘o capitone, ‘a ‘nzalata ‘e rinforzo e tutto ‘o riesto appriesso, ‘e sciosciole, ‘e struffole, ‘e roccocò, ‘e mustacciuole, ‘e susamielle… a tavola che festa, che alleria, è ‘nu mumento di sacra intimità. E doppo sparicchiate, ‘na passatella ‘e tombola, p’‘a gioia d’‘e gruosse e d’‘e piccerille. Po’ tutte ‘nzieme, ‘mprucessione, se va a chiesa p’‘a messa ‘e Mezzanotte”.  Volendo fare un salto nel recente passato, chiediamo all’ultraottantene Luigi Nocera, stabiese doc, emigrato a Torino più di 75 anni fa, di ricordare le tradizioni natalizie della sua infanzia, e in una brevissima intervista pregna affetto e nostalgia, rilasciata a noi de “Il Gazzettino Vesuviano”, descrive un tenero spaccato di questi suoi ricordi stabiesi, che ci premuriamo di riportare in questo articolo: “Il Natale stabiese, mi riporta alla mente, tante belle emozioni, ricordo con affetto che dalle zone interne montagnose della Regione, in special modo dall’avellinese, nel periodo natalizio calavano in città gli “zampognari”. Normalmente erano in due, uno suonava la zampogna e l’altro la ciaramella. Percorrendo le vie del centro storico a volte venivano chiamati in casa di chi aveva allestito il presepe e di fronte a quell’addobbo suonavano la novena. Naturalmente chi poteva li rimunerava in qualche modo. A casa di mio nonno materno venivano tutti gli anni e mio nonno li ricompensava bene. Prima rifocillandoli bene e poi gli lasciava anche del danaro. Altra tradizione, praticata in molte famiglie, era quella di radunare a pranzo, a casa dei genitori, tutti i figli (e le figlie) sposati con la relativa prole. Il momento più allegro e significativo avveniva quando, prima di iniziare il pranzo, da sotto i piatti posti sulla tavola apparecchiata, saltavano fuori, con finto stupore dei “grandi”, le letterine di Natale che i bimbi indirizzavano ai genitori. Normalmente erano le liste dei desideri dei bambini stessi, e si trattava quasi sempre di richiesta di giocattoli. Quelle letterine avevano i bordi merlettati color oro. In un angolo in alto c’era sempre la figura di un angioletto o di Gesù bambino”. Un racconto semplice, quello del signor Nocera, che ci riporta alle usanze degli anni ‘30 e ci lascia intendere la vera essenza dell’evento, oggi purtroppo, contaminata dalla globalizzazione e dallo sfrenato consumismo.   Maurizio Cuomo

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