Cinque carte vincenti – tanti sono i protagonisti della commedia in due atti messa in scena al teatro ‘Umberto’ di Nola al cospetto di un numerosissimo quanto caloroso pubblico, con la regia di Ciro Ruoppo – che hanno calcato il palco di ‘casa loro’, superando ogni tipo di ‘empasse’ – dovuti ad una vigilia alquanto tribolata – con innegabile maestria, esperienza e soprattutto con la ‘furbizia’ artistica acquisita nell’arco di un decennio.
Una prova convincente nell’interpretazione di un’opera ancora una volta avvezza alle tematiche care al gruppo bruniano, quali l’equivoco, l’ambiguità, il doppio senso … il tutto intriso da situazioni paradossali, esilaranti, che hanno suscitato continuamente la risata, cospargendo, in men che non si dica, l’intero ambito di un sano umorismo.
Il paradosso, motivo dominate dell’intero contesto scenico, viene creato principalmente dal nome della padrona di casa, Donata, affibbiato anche alla cavalla della stessa per troppo amore. Dagli ‘sbirciamenti’ da dietro le porte, da situazioni sentimentali che vengono malamente rivelate, da bugie dette a fin di bene … vengono fuori situazioni che sfociano in un incessante fraintendimento, orchestrate dal Ruoppo in una trama magistralmente intessuta, facendo si che i riferimenti all’una, erroneamente attribuiti all’altra, alla fine abbiano una conclusione ‘profetica’ e, quel che più conta, a lieto fine.
Ed è così che la ‘servetta’ tuttofare, Lisetta, impersonata con abilità ed estrema naturalezza da Maura Troncy (volo …. volo volo … volo … volooooooooooo!) invade la scena col tipico dinamismo del personaggio cucitole addosso alla perfezione, facendosi trovare sempre pronta alla battutina ‘spuntosetta’ tipica delle domestiche che hanno addosso gli occhi – e non solo! – del padrone di casa … incarnato da un Mario Arienzo ‘padre/padrone’ che ‘giostra’ i movimenti da capofamiglia deciso nelle sue cose, ma ‘vestito’ da ‘fesso/buono’ che tarda a capire, ma che poi a distanza ‘ficca bene’ nel realizzare i propri obiettivi: quello di vedere uniti nel matrimonio combinato ‘per troppo odio’ della figlia col pretendente Pellecchia/Pedone, ospitato per l’acquisto della ‘adorata’ cavalla e trovatosi a realizzare il proprio sogno d’amore … e soprattutto nel vedere raggiunto lo scopo di strappare il ‘SI!’ alla ‘addomesticata’ Troncy!
Si, Luigi Pedone, fiore all’occhiello dello spettacolo che ha sciorinato una performance degna dei mostri sacri del teatro partenopeo, supportando la perfetta impostazione di attore con variegati gesti del corpo, associati ad una mimica facciale tipica del popolo napoletano, realista a tal punto da ‘vestire’ il personaggio di ‘tonto innamorato’, che a tratti indigna, di eccezionale sensibilità, di sottile delicatezza ed immensa umanità, benché il tutto venga portato all’eccesso. E ciò, nonostante le avversità procurategli dal mago/ciarlatano Peppe Miccio, che incarna il personaggio con plausibile concretezza ed espressioni colorite, ma in assenza di qualsivoglia volgarità. Chiacchiere a parte, la sua arma consiste in pozioni purgative preparate in dose massiccia – che alla fine finisce per ingerire lui stesso – per chiunque provi ad ostacolargli il cammino nell’intento di racimolare, con ogni espediente, la somma di diecimila euro per togliersi il debito col fantomatico, ennesimo fidanzato della signorina Donata, uomo di malaffare fatto credere morto per cancellarlo – a fatica! – dal cuore della protagonista dell’enigma.
Certo, la protagonista del ‘regno’! Quella Donata intorno alla quale gira l’intera vicenda, personaggio alla quale Simona Seraponte conferisce un’anima intrisa dalle tante contraddizioni tipiche dei giovani dei nostri tempi: la ribellione, la rabbia, la voglia di volere sempre tutto e subito, di voler prevalere in ogni occasione anche a costo di commettere sciocchezze! E lo fa spruzzando addosso alla sua recita la grandezza e la fallibilità dell’esistenza giovanile, ‘armata’ dalle spiccate componenti caratteriali che tengono vive in qualsiasi essere vivente il rapporto odio/amore, inteso sia in senso intimistico che sociale.
Ma Simona aveva una dedica speciale da fare per potersi concedere tentennamenti di sorta. Per lei era troppo importante dare il meglio si se, per non spezzare quell’impercettibile filo della mente che la conduceva al suo papà volato in cielo appena una settimana fa! Quella tristezza, quel dolore che le offuscavano l’anima, con un lampo di orgoglio d’artista di rango, sono state spazzate via dal vento della sua esuberanza scenica, elargita ad un personaggio così contraddittorio ma affascinate. Ne è venuta fuori una prova convincente ed estremamente apprezzabile.
Prima della calata del sipario Simona, con mani intrecciate ai suoi compagni di avventura, congedava quel pubblico che sottolineava il proprio gradimento con un interminabile applauso. Ma la prevedibile commozione, l’inevitabile turbamento, lo scompiglio albergato come una miccia accesa nel suo inconscio, avendo a quel punto rotto gli argini della sua forza fisica ed interiore, le procurava un liberatorio pianto che, per dignità e rispetto, non le ha consentito di ritornare sul palco.
Ma anche questa condivisibile inerzia … è facilmente perDonata!
Mauro Romano