La nave scuola Amerigo Vespucci, compie 80 anni.
Orgoglio stabiese e della Marina Militare Italiana, la nave scuola Amerigo Vespucci, venne costruita, allestita e varata nel Regio Cantiere Navale di Castellammare di Stabia. Impostata il 12 maggio del 1930, su progetto del Tenente Colonnello del Genio Navale Francesco Rotundi, la nave, grazie alle sapienti maestranze degli operai del cantiere di Castellammare, fu varata, dopo appena 10 mesi, quando il 22 febbraio del 1931, in un tripudio di folla festante, ebbe il suo battesimo dell’acqua. L’imbarcazione dall’aspetto fiero e maestoso è dotata di tre alberi e bompresso e una velatura costituita da vele quadre, vele di strallo e fiocchi che coprono una superficie di circa 2.800 mq. Lo scafo ha tre ponti principali: coperta, batteria e corridoio, con castello a prora e cassero a poppa. Lunga 101 metri (dalla poppa all’estremità del bompresso) e con una larghezza massima di 15,50 metri, la nave ha un dislocamento di circa 4.100 tonnellate. A pochi mesi dal varo l’Amerigo Vespucci ha iniziato la sua prima campagna d’Istruzione, che da allora è destinata ad integrare l’educazione militare, marinara e sociale degli allievi Ufficiali dell’Accademia Navale, degli Allievi Nocchieri delle Scuole Sottufficiali e di recente anche degli Allievi Marescialli. Seppur conservi un aspetto classico, che richiama la tradizione e la spiritualità dell’antica marineria, la Vespucci ha ricevuto negli anni numerosi ammodernamenti ed è dotata di apparecchiature elettroniche sofisticate, che la rendono particolarmente idonea per preparare i giovani allievi ad una vera e propria “scuola di vita”, passo fondamentale per aspirare ad una possibile carriera militare nella Marina Italiana.
Fatto il doveroso preambolo di presentazione, con il quale non aggiungiamo nulla in più di quanto è possibile apprendere leggendo le pagine di uno dei tanti opuscoli dedicati a questa storica imbarcazione, e sempre alla ricerca di notizie inedite, abbiamo chiesto all’ottantottenne Luigi Nocera, vera e propria memoria storica della sua amata Castellammare, di fornirci un suo personale ricordo della Vespucci; Gigi, così come affettuosamente il sig. Nocera preferisce essere chiamato da parenti ed amici, con nostra estrema sorpresa, ha rispolverato per “Il Gazzettino Vesuviano”, una bella pagina dei suoi ricordi più cari, un racconto inedito, che proponiamo integralmente ed in anteprima, a beneficio dei nostri affezionati lettori e di tutti coloro che avranno la pazienza e la voglia di leggere fino in fondo questo nostro scritto. Ecco quindi quanto ci viene descritto, con fervida lucidità, da colui che con ogni probabilità oggi potrebbe essere l’unico testimone oculare vivente di quello storico evento.
“Caro Maurizio, nel 1931, 18 di qual mese avevo compiuto 8 anni, durante la festa di compleanno un mio zio, Antonio Celotto, che era impiegato al Cantiere non so con quali incarichi, mi promise che qualche giorno dopo mi avrebbe portato ad assistere al varo della Vespucci. E difatti, così avvenne. Quattro giorni dopo, mia madre mi addobbò di tutto punto e preso per mano da questo mio parente entrammo al Cantiere, dove subito mi portò sul palco posato accanto alla nave. La stessa vista da vicino e dal basso ai miei occhi di bambino mi sembrava enorme. Dopo poco giunsero le autorità e iniziò la cerimonia. Ascoltai alcuni discorsi dei quali non capii nulla, sia per la pessima acustica (sai allora non esistevano i mezzi tecnici appropriati), sia per la lontananza da chi parlava. Dopo pochi minuti vidi questo gigante muoversi prima lentamente poi più velocemente, ma non tanto, da non ammirarlo nella sua grandiosità e bellezza. Fra grida di gioia ed entusiasmo dei presenti sul palco me lo vidi sfilare davanti, maestoso. Avendo avuto il tempo e la possibilità di ammirarlo da vicino, mi avevano colpiti certi particolari, come per esempio i fregi che adornavano la prora e la poppa, seppur non completati. Io sono sempre stato molto curioso, fin da piccolo, e per completare la mia “conoscenza” della nave chiesi a mio zio se potevo andarci a bordo. E una delle domeniche successive, quando non erano presenti gli operai addetti all’allestimento, mi porto a bordo mentre la nave riposava placida nella rada davanti allo scalo. La percorsi in lungo e in largo ammirando certi particolari poco visibili dall’esterno. Ma la cosa che mi colpì di più e destò il mio stupore fu il balconcino di poppa. Posto quasi a metà strada dal pelo del mare e il bordo della nave, ci andai sopra e mi affacciai incantato, appoggiandomi alla balaustra guardavo il mare sotto e la poppa sopra che incombeva. Fu, per me, come vivere nel mondo dei balocchi. E per la prima volta in vita mia da sopra quella nave, dal mare, ho potuto ammirare il Faito, il Castello, Pozzano, la Madonna della Libera. Caro Maurizio, ti ho detto tutto quello che ricordo. Spero di essere stato utile in qualche modo”.
Ebbene che dire, dopo questo inedito racconto, così chiaro e dettagliato, le cui parole risuonano fresche e godibili come quelle che si possono leggere nei migliori romanzi di narrativa, non posso esimermi dal ringraziare, Gigi, facendolo affettuosamente anche a nome di tutti i lettori che di certo apprezzeranno.
Maurizio Cuomo