Il Gazzettino vesuviano | IGV

L’angoscia di Abramo

Kierkegaard (1843) chiamava “angoscia di Abramo” il momento in cui si deve prendere coscienza di se stessi, il “momento del risveglio” – come molte dottrine religiose definiscono l’attimo epifanico della consapevolezza – e ciò accade quando eventi dolorosi o incontri preziosi producono una crepa nelle costruzioni fittizie in cui abbiamo cercato rifugio, svelandoci i percorsi contorti e le alternative illusorie usate per sopravvivere  a noi stessi, all’angoscia della libertà. Abramo, vissuto fino a 70 anni nel rispetto della legge morale, riceve da Dio l’ordine di uccidere il suo unico figlio, infrangendo così la legge per la quale era vissuto. La scelta di Abramo non può essere facilitata da nessuna considerazione generale, né decisa in base ad alcuna regola. Si agisce allora, come Abramo, per fede, intuendo comunque che si può coincidere con la propria verità interiore solo compiendo, per la prima volta, un salto nel buio. Quando si è posti nella necessità di decidere del compimento di un atto esemplare che implica la rinuncia di ogni soluzione illusoria e precostituita, si è gettati nell’angoscia del rischio e della solitudine. Ogni scelta ha una sua dignità nella misura in cui rivendica la nostra libertà. Purtroppo nella maggioranza dei casi le nostre scelte non si costruiscono come risposte ai nostri bisogni interiori, ma alle aspettative del collettivo, soprattutto in un momento storico come il nostro in cui paradossalmente la nostra identità appare ancorata a valori e valutazioni esterni ed esteriori. L’individuo, soprattutto se giovane, si trova quindi esposto ad una pressante richiesta di integrazione che mette a dura prova ogni aspirazione personale, frutto di una scelta originale, al punto da far apparire come tranquillizzante e liberatoria una scelta conformista, la quale immediatamente sembra integrarci nel tessuto sociale. In realtà il prezzo che si paga nell’accettare un modello esistenziale convalidato solo collettivamente è più alto di quanto immediatamente non ci appare. E’ il prezzo della omogeneizzazione della nostra interiorità all’indistinto e compatto corpo collettivo, che può essere tollerata a sua volta pagando il prezzo altissimo dell’inconsapevolezza di sé.

Giuseppe D’Apolito

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