Mandante ed esecutore: l’Italia

Tra le diverse macchie presenti sulla bandiera tricolore, ve n’è una di sangue, che quasi non si vede più; anzi, in un certo senso, è quasi scomparsa.
Quasi usato due volte, perché la memoria è corta e la macchia ha più di cent’anni, 113 per la precisione.
Gli anni antecedenti il 1900 furono davvero turbolenti, tra i più tumultuosi, col senno di prima e con quello di poi.
Il governo, dopo la bella figura ad Adua, si sbriciola costringendo il nome di Crispi a scomparire per sempre dai libri di storia.
Il paese è notevolmente inquieto; carestie, scioperi e disoccupazione innescano numerose agitazioni e sommosse al grido: «Pane e lavoro!», in particolar modo in Romagna, Puglia, Marche e Toscana.
Un’amnistia, che libera diversi posti in carcere occupati da molti condannati politici, non è sufficiente a riportare la calma; così, il governo, presieduto da Antonio Di Rudinì, combatte le agitazioni con misure repressive che, inevitabilmente, finiscono con l’ aggravare ulteriormente la situazione.
Dimostra, quindi, di aver perso completamente la testa; per la faccia, si aspetta solo la situazione adatta, che, puntualmente, non tarda a verificarsi.
Dal 6 al 10 maggio 1898, si verificano delle violente manifestazioni che degenerano nella follia quando il gabinetto Di Rudinì, convinto di trovarsi alla vigila di una rivoluzione, affida pieni poteri all’esercito.
A Milano, il generale Bava-Beccaris, che comanda le operazioni, disperde la folla a cannonate provocando, secondo le stime ufficiali, 80 morti e 450 feriti con due sole perdite tra le forze dell’ordine.
Come se non bastasse, successivamente, si eseguono centinaia di arresti e si sopprimono i giornali di opposizione (socialisti, radicali e cattolici).
Ed, infine, oltre al danno, anche la beffa di vedere premiato l’autore della prima strage dell’Italia postunitaria all’interno dei suoi confini: il generale Bava-Beccaris, infatti, riceve la decorazione sovrana con la gran croce militare dei Savoia, e la seguente motivazione: «per i servizi resi al Paese».
Ogni altra parola sarebbe puramente superflua se non che sono passati 113 anni da quel giorno; eppure, non sembra cambiato niente.
Anzi, le bombe sulla gente si buttano ancora.

Francesco Rosario Lepre

Donazione sostieni il Gazzettino Vesuviano
Condividi
PrecedenteRissa tra tifosi prima di Napoli-Brescia: il gip convalida 8 arresti
SuccessivoL’angoscia di Abramo
Il giornale “il Gazzettino vesuviano”, fondato nel 1971 da Pasquale Cirillo e attualmente diretto da Gennaro Cirillo, si interessa principalmente delle tematiche legate al territorio vesuviano e campano; dalla politica locale e regionale, a quella cultura che fonda le proprie radici nelle tradizioni ed è alla base delle tante associazioni e realtà che operano sul territorio.Siamo impegnati a garantire la massima qualità e la massima integrità nel nostro lavoro giornalistico. Ci impegniamo a mantenere alti standard etici e professionali, evitando qualsiasi conflitto di interesse che possa compromettere la nostra indipendenza e la nostra imparzialità.Il nostro obiettivo è quello di fornire ai nostri lettori notizie e informazioni affidabili su una vasta gamma di argomenti, dalle notizie di attualità ai reportage approfonditi, dalle recensioni ai commenti e alle opinioni. Siamo aperti a suggerimenti e proposte dai nostri lettori, e ci impegniamo a mantenere un dialogo aperto e costruttivo con la nostra community.