Come disse Kafka, i simboli «sono inutili alla vita d’ogni giorno, che è l’unica vita che abbiamo»; «esprimono una sola constatazione di fatto: che l’ incomprensibile è incomprensibile, cosa che sapevamo da un pezzo». Ma i simboli sono necessari, anche se astratti e solo una proiezione dei desideri? Si parla tanto dei 150 anni dell’Unità d’Italia; è decisamente un simbolo ormai che ci proietta in una storia avvenuta tanti anni fa e pertanto conclusa, che non serve alla vita di tutti i giorni ma va incontro al desiderio di sentirci vicini, uniti sotto un’unica bandiera. Appunto, uniti. Ma l’unità è davvero quella cosa espressa nelle manifestazioni approntate per l’occasione, o nei discorsi ufficiali tessuti dai capi delle nostre istituzioni? E’ davvero tutto ciò?
E’ talmente comprensibile questo nostro desiderio da essere totalmente incomprensibile alla luce della realtà; alla luce dei fatti che quotidianamente squarciano il velo che nasconde la realtà mostrandocela quale realmente è. Insomma unità solo a parole e chiacchiere? Tanto più che ognuno, dopo un’overdose di unità torna comprensibilmente a coltivare il proprio orticello.
Tutto ciò è comprensibile e incomprensibile nello stesso tempo. Perché se ognuno coltiva il proprio orticello non vi può essere unità, parimenti il desiderio rimane ma solo come simbolo, che ci proietta appunto nell’incomprensibile, “cosa che sapevamo da un pezzo”.