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Intervista a Raffaele Cantone, magistrato anticamorra

Per otto anni nella Direzione Distrettuale antimafia di Napoli, ha condotto molte fra le più importanti indagini contro i Casalesi, ingiustamente delegittimato per la sua rettitudine morale, più di una volta è stato minacciato di morte e da anni vive sotto scorta. Raffaele Cantone, magistrato anticamorra, dal 2007 al Massimario della Cassazione, si racconta in via esclusiva per il Gazzettino Vesuviano, partendo dall’esperienza presso la Dda, ben illustrata del resto nella sua prima autobiografia “Solo per giustizia”, anticipa che a breve uscirà un secondo libro dal titolo “Gattopardi”, sino ad arrivare al recente rifiuto di candidarsi a sindaco di Napoli in vista delle prossime elezioni amministrative.

Partiamo dal titolo del suo libro: “Solo per giustizia”. Un titolo emblematico. Qual è il significato di tale espressione?

Il significato è duplice. Solo significa in primo luogo “soltanto”, un avverbio che vuol indicare come l’impegno deve avere un’unica finalità, cioè l’affermazione della giustizia. L’unico impegno deve essere quello della giustizia.

Solo significa anche un po’ “solitudine” che è una sensazione che spesso avverte chi si occupa di certi temi.

Nell’ottobre del 1999 lei entra a far parte della Dda di Napoli. Le viene assegnata la criminalità casalese, agli inizi sottovalutata dall’opinione pubblica tranne dagli addetti ai lavori. Cosa la rese consapevole della effettiva potenza economica di questo sodalizio?

Le vicende sintomatiche di questa potenza economica sono tante. Credo che ce ne sia una significativa. Nel corso di un’indagine è stato riscontrato che Pasquale Zagaria per portare a termine un affare immobiliare nel pieno centro di Milano riuscì a procurarsi 500 mila euro in contanti, che non è una cifra apparentemente esagerata,  in tempi rapidissimi e in orari in cui banche e altri istituti finanziari erano chiusi. E’ stata la dimostrazione di una disponibilità economica al di fuori del normale. Poi basta considerare il numero di beni sequestrati quando è stato celebrato il processo Spartacus. Nella sentenza che ha disposto la confisca ci sono almeno due pagine di dispositivo con tutta l’enumerazione dei beni che vengono confiscati definitivamente e molti di questi beni sono aziende, terreni, ecc. Ciò attesta una grandissima capacità di controllare economicamente il territorio.

A proposito del processo Spartacus lei ha seguito il secondo troncone.

Io ho seguito Spartcaus 2 che era la parte che riguardava i rapporti di connivenza con il mondo delle istituzioni e della politica. Era un troncone apparentemente minore che è andato meno bene di quanto ci aspettassimo, un po’ perché sono cambiate le regole, un po’ perché è molto più difficile colpire le connivenze. La norma del 416 bis è fondamentale, però è stata costruita pensando all’idea di chi fa parte dei clan. Le connivenze esterne sono meccanismi molto difficili da incasellare nell’attività del 416 bis. Questo incide anche sulla capacità di repressione di certi fenomeni di connivenza che però sono molto importanti e pericolosi.

Nel suo libro vi è un punto in cui lei sostiene che i boss casalesi non si ritengono un antistato, ma parte integrante della comunità nazionale.

Culturalmente i boss ci tengono a dire che loro le istituzioni non le toccano. L’ho verificato in due casi per me emblematici. Bidognetti quando l’ho incontrato in carcere salutandomi mi ha detto: “Dottore io sono stato accusato di tutti i reati di questo mondo ma non ho mai  toccato un uomo delle istituzioni”. Poi c’è lo strano episodio di Zagaria che mi ha scritto un pizzino in cui dice di non essere mai stato accusato di aver toccato le istituzioni. Come se loro rivendicassero un ruolo analogo a quello dello Stato. E’ quasi una giustizia parallela che si occupa delle beghe interne lasciando lo Stato. Non un antistato, ma il riconoscimento dello Stato e la capacità secondo me di inserirsi nei vuoti dello Stato. Quindi una realtà molto diversa che non vuole la contrapposizione ma cerca di sfruttare le carenze.

Anche se lei ormai non fa più parte della Dda ha un’idea della situazione attuale dei Casalesi? Chi comanda veramente ora? I latitanti Michele Zagaria e Antonio Iovine? Oppure continuano a comandare dal carcere Francesco Schiavone e Francesco Bidognetti?

Stando alla recente operazione “Principe” Michele Bidognetti, fratello di Francesco, faceva da tramite tra il fratello detenuto al 41 bis e l’esterno.

Innanzitutto credo che ormai la famiglia Bidognetti sia fuori gioco. All’interno del clan dei Casalesi è in atto un’operazione di ristrutturazione da anni che ha fatto sì che i meccanismi formali di comando, che restano in mano di Schiavone, non coincidano più con i meccanismi sostanziali. Sostanzialmente il comando ormai è nelle mani di Zagaria e Iovine in primo luogo per lo svolgimento delle attività economiche, ma è anche nelle mani di una serie di seconde file. Si comincia ad intravedere la presenza dei figli dei boss che hanno stretto sicuramente rapporti significativi con queste nuove leve. La mia idea è che Zagaria e Iovine siano il punto di riferimento economico insieme a pezzi delle famiglie Schiavone e di tante altre.

Perché non si riesce ancora a giungere alla cattura dei latitanti Zagaria e Iovine?

Credo che non ci sia lo stesso impegno dimostrato per la cattura di latitanti storici della mafia.

Sono stati in un certo senso dimenticati?

Un po’ sì. Occorre considerare anche che l’esplosione di violenza di cui ha dato prova il gruppo stragista di Setola ha imposto alle forze dell’ordine la necessità di arrestare quest’ultimo ed i membri del suo gruppo. Poi non bisogna tralasciare che il livello di connivenza della zona è elevatissimo. Questo deve far riflettere. Ho avuto la certezza, durante il periodo delle indagini in cui mi sono occupato di Zagaria e Iovine, che almeno per lunghi periodi dell’anno loro fossero nei loro comuni ma malgrado questo il livello di collaborazione era bassissimo. Non c’era chi dava notizie neanche a livello confidenziale. Questo è il segno sicuramente della capacità loro di creare meccanismi di consenso che non riguardano entranei al clan ma estranei, soprattutto persone appartenenti alla borghesia.

Cosa pensa della riforma della giustizia che ha in mente di varare il governo?

Che sia necessaria una riforma di tal tipo è ormai opinione condivisa da tutti. Ma quella che vorrebbe approvare l’esecutivo credo ponga dei seri problemi di costituzionalità. Se fosse approvata, avremmo una giustizia a due velocità, forte con i deboli e debole con i forti, soprattutto con quelli che ricoprono cariche istituzionali.

Perché ha declinato l’invito del centrosinistra a candidarsi a sindaco di  Napoli?

Credo fermamente che ciascuno debba fare il proprio mestiere, quello per cui è “tagliato”. Non riesco a gestire situazioni condominiali, figuriamoci se dovessi amministrare una città complessa come Napoli.

Claudio Di Paola

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