“Il Comune deve partecipare alla gestione dei beni archeologici, lo dice la Costituzione”. Citando la riforma del titolo V della legge fondamentale dello Stato l’archeologo Antonio De Simone, intervenendo venerdì al convegno “Abbracciamoci Pompeii. Proposte, non proteste”, ha riacceso il dibattito sulla partecipazione dell’ente municipale alla gestione e valorizzazione dell’enorme patrimonio archeologico rappresentato dalla Pompei antica. “La legge costituzionale 3/2001 – ha detto il docente presso l’Istituto universitario “Benincasa” di Napoli – ha assegnato un nuovo ruolo a Regioni, Province e Comuni in materia di beni culturali”. Allo Stato è riservata in via esclusiva la “tutela” dei beni culturali e ambientali; mentre la loro “valorizzazione” resta, invece, di competenza residuale delle Regione e degli enti locali. Si è pertanto individuato nel Ministero il titolare “naturale” delle funzioni di tutela e gestione, prevedendo tuttavia la possibilità che il relativo esercizio avvenga anche attraverso il conferimento, sulla base di appositi atti di intesa e coordinamento, di specifici settori di attività in primis alle Regioni e in via subordinata anche agli enti locali, quando ciò risponda ad una più puntuale ed opportuna applicazione dei principi di sussidiarietà e differenziazione. Addirittura la legge 127/1997, nota come “Bassanini bis”, prevede la possibilità di trasferire la “gestione di determinati beni dello Stato”, come, ad esempio, i musei alle Regioni, alle Province e ai Comuni. Si tratta di presupposti normativi importanti sulla base dei quali Pompei potrebbe rivendicare una partecipazione “civica” alla gestione degli scavi, o di una parte di essi come l’Anfiteatro, progetto per il quale da anni si batte il comitato “Cincinnato”, promotore del convegno insieme all’associazione culturale “Radici”, e che era al centro dell’incontro di venerdì. Questo obiettivo presupporrebbe anche rapporti di collaborazione sinergica tra le istituzioni presenti sul territorio, come Comune, Soprintendenza archeologica e Santuario. “Finora – ha detto però Antonio Ebreo, consigliere comunale delegato alla cultura – tutti i nostri sforzi di coordinamento sono stati inutili, Soprintendenza e Santuario sono chiusi a riccio”. Tuttavia lo stesso Ebreo ha annunciato che a breve dovrebbe essere fissato un incontro tra il neo ministro ai beni culturali, Giancarlo Galan, il presidente della Regione, Stefano Caldoro, i vertici della Soprintendenza e il Comune di Pompei, per discutere di questioni come queste. Intanto nel corso del convegno di venerdì sera (nel quale hanno relazionato tre archeologi, Luca Solimeno, Serena Cipriano e Marialuisa Fattoruso, e due architetti, Mariacarla Panariello e Bruna Rubichi) è stata lanciata anche la proposta di istituire un’officina museale. Ovvero: non un semplice museo, con la conservazione di reperti archeologici, ma una vera e propria “officina”, un luogo dove potrebbero essere riprodotti oggetti antichi, secondo le tecniche e i materiali effettivamente utilizzati duemila anni fa.