Che Napoli sia una città legata al calcio è cosa risaputa e conclamata. Che sia una città passionale e abituata a soffrire anche. Rileggendo i libri di storia e le testimonianze più svariate queste caratteristiche non passono certo inosservate. Un popolo spesso sottomesso, abituato alle difficoltà, ma che ha spesso saputo reagire alle angherie più o meno gravi. Senza scomodare troppo avvenimenti storici famosi e oggettivamente molto più importanti del calcio, basta ricordare le “Quattro giornate di Napoli”, il massimo momento di ribellione del popolo azzurro agli invasori tedeschi, per rendersi conto che i napoletani amano la propria identità e per rendersi conto che quando c’è da essere uniti, raramente la città non ha risposto nel modo migliore. Qui, in questo punto preciso, non volendo mischiare ulteriormente “sacro” e “profano”, ci riallacciamo al 26 settembre 2004. Alcuni ricorderanno, altri avanno bisogno di un input, altri ancora non sanno che questa data calcistica ha una valenza enorme: Napoli-Cittadella 3-3. Non è importante parlare del risultato o del gol di Toledo, piuttosto dell’esordio della Napoli Soccer in una gara di campionato; è importantissimo parlare delle 60000 persone che gremirono il San Paolo in ogni ordine di posto. Mai, in nessuna coordinata del globo, si era vista tanta gente assistere ad una partita di terza categoria, la vecchia Serie C, oggi denominata più freddamente Lega Pro. Il Napoli, come molti sanno, rinacque dalle ceneri: Sosa, Montervino e Montesanto andarono a comprare personalmente i palloni per allenarsi, giusto per rendere l’idea di che fine avesse fatto il Napoli ai tempi dell’odiato Carraro. Partita dopo partita, delusioni (la mancata promozione contro l’Avellino) e gioie che si alternavano come tutto nel ciclo della vita, il Napoli dapprima salì in Serie B al secondo tentativo con Reja, per poi fare il doppio salto in Serie A vincendo alle spalle della decaduta Juventus la serie cadetta più difficile che si sia mai vista in Italia. Campioni e bidoni hanno accompagnato il Napoli sul tetto d’Italia, ai fasti insperati dell’epoca maradoniana, per riproporre una parola ormai inusuale per chi si era abitutato a Gela, Acireale, Cittadella e Crotone (con rispetto parlando!): scudetto. Il Milan è lì, ad un passo e nulla vieta di sognare a quelle stesse persone che hanno accompagnato il Napoli nelle serie inferiori e che hanno visto i bambini ri-innamorarsi dei colori azzurri: basti pensare agli anni bui, nei quali per strada si vedevano bimbi con maglie di Milan, Inter e addirittura Juve. Trovatene uno ora. Impossibile. Vedrete piccoli pargoli con maglie spesso più grandi di loro, con dietro il numeo 7 o il 22, o il 17. Troverete bambini che nominano i loro campioni. Non più Ronaldo, Totti e Del Piero. Ma Cavani, Lavezzi, Hamsik. Merito loro, merito di Mazzarri, merito di De Laurentiis, merito di chi lavora e di chi ha lavorato per riportare questa squadra in alto. Un altro dato non deve sfuggire all’occhio attento dei tifosi: il Napoli, il 3 maggio 2010 era 211esimo nella classifica stilata dall’IFFHS (l’importantissimo Istituto Internazionale di Storia e Statistica del Calcio), ora è al 25esimo posto, meno di un anno dopo, a testimonianza che gli azzurri sono risaliti, forse definitivamente, nell’Olimpo del calcio italiano e di quello mondiale. Per la gioia di tutti gli appassionati di calcio, di tutti i tifosi azzurri e soprattutto di tutti quei 60000 che assiepavano il San Paolo, quando i sogni, invece di essere solide realtà, erano effimere speranze.
Roberto Russo