Al Di Costanzo Mattiello di Pompei è andato in scena “L’ebreo”, dramma di Gianni Clementi, per la regia di Enrico Maria La Manna, con Ornella Muti, Duccio Camerini e Mimmo Mancino. E’ una storia che dimostra come in una famiglia può nascere l’idea di un assassinio, scaturita dall’ avidità di mantenere una ricchezza, costituita dalle proprietà ebraiche carpite con l’entrata in vigore in Italia delle leggi razziali emanate da Mussolini. Appena stabilite le norme sulla discriminazione razziale, molti ebrei italiani, presumendo un destino incerto, pensarono di proteggere i loro beni, intestandoli a prestanomi di fiducia. Marcello (interpretato da Duccio Camerini), all’epoca oscuro travet, è uno dei beneficiari in quanto il suo datore di lavoro gli intesta i beni di proprietà. Egli vive, con la moglie (una convincente Ornella Muti), in una splendida casa nel ghetto di Roma, che apparteneva al suo benefattore. Nel 1950, d’ improvviso, il vecchio proprietario bussa al loro portone per rivendicare i suoi beni; i due coniugi non aprono, in quanto occorre del tempo per trovare un espediente allo scopo di non perdere tutto. Ogni giorno l’ebreo bussa alla loro porta, senza ottenere risposta. Marito e moglie, a limite di un collasso nervoso, decidono che l’unico modo per porre fine all’incubo è quello di eliminare l’anziano israelita. Mentre eseguono il loro diabolico piano, sentono di nuovo bussare al loro portone e, nonostante questa volta sia la loro figlia, ugualmente non aprono, ormai chiunque bussa è come se fosse per loro il vecchio semita. E’ l’apologia della meschinità umana, che, partendo da un fatto storico, indaga l’animo dell’uomo, allo scopo di misurare il grado di aberrazione che un essere umano può raggiungere pur di non rinunciare ai suoi vantaggi. Il pubblico del Mattiello ha applaudito con calore.
Federico Orsini