Sant’Anastasia, l’IGT alla catalanesca; vino e archeologia

Un brindisi con la “catalanesca del Monte Somma”? Si può fare! Con il Katà, una preziosa bottiglia di vino bianco, che ha nell’etichetta un richiamo all’archeologia del territorio anastasiano: la scritta sex cati festi e un petalo stilizzato, come rinvenuto in un vecchio scavo. Il convegno “Archeno II”, “Dai perchè storici e culturali di un vitigno che Alfonso I d’Aragona piantò sul Monte Somma, all’IGT di oggi”, tenutosi nella sala consiliare in Sant’Anastasia, ha messo in risalto le radici dell’enologia locale con particolare riferimento all’ “uva catalanesca” ed il raggiungimento di un grande obiettivo: il riconoscimento della IGT “Catalanesca del Monte Somma”, prodotta nella tipologia “bianco” e “passito”. Il mix di relatori, come Gimmo Cuomo, Redattore del Corriere del Mezzogiorno; Carmine Di Sarno, presidente del consiglio comunale di Somma; Antonio De Simone, archeologo e docente presso il Suor Orsola Benincasa, Luigi Nicolais, vice presidente della Commissione Cultura del Senato, moderati da Ferdinando Polverino De Laureto, Art director PortodiBacco, Wine communicator e “schierati” a valorizzare il prodotto del territorio e affermarne le potenzialità, con l’aiuto della politica agro-economica, delle vie del gusto, della storia, dell’archeologia e della mitologia hanno tracciato il cammino presente della catalanesca, hanno proposto un futuro, hanno ancor più chiarito il passato. Sullo schermo sono scorse immagini – raccontate dall’archeologo Antonio De Simone – di resti di ville romane, tombe, anfore, orci e poi cartine, scritte antiche, particolari di tavolette votive per la Madonna dell’Arco e un Dioniso vestito di chicchi d’uva, con a lato il Monte Somma/Vesuvio, com’era prima dell’eruzione del ’79, coltivato nelle pendici a reticolo ordinato di vitigni. I dati storico-archeologici sono chiari: nei territori del Somma si produceva vino e le tecniche enologiche erano già note. Le diverse testimonianze archeologiche di Sant’Anastasia, del territorio vesuviano, di Pollena Trocchia, dove è emerso un impianto termale di una probabile villa, di Starza della Regina dove si scava, insieme all’Università di Tokyo, per riportare alla luce un’antica villa romana, fanno affermare al professore anastasiano che: “Dal punto di vista archeologico e territoriale certamente il Vesuvio era ed è la caratteristica in un territorio di primissimo ordine. Ci sono molteplici e antichissime prove di un territorio vesuviano ordinato e ben coltivato intorno al Vesuvio: con vigneti. Questo dato può essere un buon motivo per voler dare alla catalanesca una DOC legata al monte Somma”.

Sono passati sei anni circa dal convegno del 7 dicembre 2005, che annunciò l’inserimento della catalanesca nella classificazione delle varietà di vite per uve da vino coltivabili nella Regione Campania. E con Archeno II, gli allora entusiasti giovani produttori locali della neonata azienda “Cantine Olivella”, fautrice e promotrice del vitigno catalanesca, hanno annunciato il grande passo avanti, cioè l’IGT che colloca la coltivazione della catalanesca in provincia di Napoli con la specificazione “del Monte Somma”. Un traguardo di rilievo per l’uva importata nel XIV secolo da Alfonso I° D’Aragona, Re di Catalogna, la cui vite fu impiantata sul monte Somma e attecchì facilmente sui terreni dei paesi dell’attuale fascia vesuviana.

“Questi giovani imprenditori – afferma il vice-sindaco Ciro Castaldo – hanno saputo affrontare la sfida con un approccio nuovo. Hanno investito sul territorio per rafforzarne il ruolo di interlocutore, in quanto ha eccellenze, competenze, tradizioni. Ricordo i nostri maestri bottai, per fare un esempio, nei cui pregiati contenitori veniva custodito anche il catalanesca. Celebriamole allora le bellezze e le bontà della nostra terra! La politica deve fare la sua parte e noi ci stiamo provando, con risultati che ci fanno ben sperare, come la presenza alla BIT di Milano del nostro Santuario di M. Arco e del gonfalone della nostra Sant’Anastasia, che reca l’immagine del monte Somma e del Vesuvio fumante. Vogliamo condividere obiettivi ambiziosi e irrinunciabili, ai quali si deve tendere con impegno comune e insieme, per creare le giuste sinergie e vincere la sfida di ottenere un paese migliore in una società migliore”.

“In un mercato caratterizzato dalle grandi distribuzioni, un’economia capace di aggregare le eccellenze – è l’autorevole parere del prof. Nicolais – nonchè favorire il riconoscimento e la certificazione qualitativa nella produzione e nell’offerta dei prodotti da tavolo senza rinunciare alla dimensione ed identità storico –culturale locale è un esempio da incoraggiare e seguire con la massima attenzione”.

“Catalanesca è un’uva dal gusto gradevole, la buccia spessa e croccante, é tardiva e per questo conservata fino a dicembre è una prelibatezza del periodo natalizio. Il catalanesca come vino l’ho incontrato spesso in forma “clandestina”, infatti veniva vinificata e custodita gelosamente, ma io ne ho sempre parlato. Un buon marketing – suggerisce Gimmo Cuomo – sarebbe collocare la catalanesca nell’ambito, ad es., del Lacrima Cristi, per averne più facilmente benefici di commercializzazione e poi molto importante è l’accostamento ai cibi locali, tra i quali certamente consiglio il baccalà e lo stoccafisso, già noti a molti palati, prodotti con i quali si potrebbe far sistema”.

Storicamente la catalanesca è coltivata e vinificata nei tredici paesi vesuviani, soprattutto a Sant’Anastasia, San Sebastiano, Somma Vesuviana, e Pollena Trocchia, per cui relativi  produttori potranno vinificare alla luce dell’importante marchio una “catalanesca del monte Somma – IGT”, in attesa di una Denominazione di Origine Controllata.

Al convegno ha fatto seguito la visita guidata – a cura del Prof. Emanuele Coppola, Direttore Beni Culturali Complesso Monumentale Santa Maria del Pozzo – alla antica chiesa di Somma Vesuviana costruita nel 1333 dal re di Napoli Roberto d’Angiò per il matrimonio della nipote Giovanna I, con gli affreschi e le piccole meraviglie del sotterraneo. Nell’accogliente chiostro, degustati i vini Katà – Catalanesca IGT, Lacrimabianco – Lacryma Christi del Vesuvio DOC Bianco, Lacrimanero – Lacryma Christi del Vesuvio DOC Rosso, uniti ai primi piatti preparati da  Francesco Sposito, chef e patron del Ristorante Taverna Estia di Brusciano. Nuovo talento della cucina italiana, ha proposto agli ospiti pasta mista con patate, croccante di alghe e vongole veraci e i paccheri con pomodorini del piennolo e conciato romano, confermando la sua arte fondata sul rispetto della materia prima. Stella Michelin a 25 anni (il più giovane d’Europa), migliore chef d’Italia 2010 per la Guida del Gambero Rosso e più volte Medaglia d’Oro per il Touring Club Italiano, Francesco Sposito ha poi lasciato spazio alle melodie della cultura Arbëreshë di Max Fuschetto e Antonella Pelilli, con il loro repertorio di brani fra tradizione ed innovazione attraverso le tappe del disco d’esordio, Popular Games ovvero Divertimenti Popolari (Konsequenz-Hanagoorimusic), gradito dalla critica e dal pubblico.

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