“Fare impresa oggi a sant’Anastasia è problematico per diversi motivi”. Esordisce così il Sindaco, Carmine Esposito, nel suo apprezzatissimo intervento al convegno “Fare impresa a Sant’Anastasia”, organizzato dall’A.I.A. e tenutosi ieri sera in sala consiliare.
I temi toccati dal Sindaco sono stati molteplici, ma l’accento più marcato è stato messo sul suo “cavallo di battaglia”: la zona rossa.
Una zona rossa che non è nata per “mummificare” il territorio, anzi per metterlo in sicurezza, con una programmazione – ove anche gli incrementi volumetrici residenziali possono trovare spazio – di interventi sulla qualità urbana, sullo sviluppo, agricoltura, paesaggio, turismo. Un buon piano, secondo il Sindaco Esposito, può far superare la condizione di sospensione che viene individuata con la “triste locuzione di zona rossa”. Quindi sì a nuove infrastrutture di servizi pubblici, intorno ai quali far sviluppare le imprese. E per le attuali imprese, disperse sul territorio, la soluzione è il PUC e la realizzazione di due macro aree attrezzate per l’insediamento delle attività produttive.
Per comprendere meglio tutto il progetto politico del Sindaco, riportiamo il suo intervento, fatto stampare in opuscolo e distribuito ai presenti, tra cui c’erano, oltre alla Giunta e consiglieri di maggioranza anche consiglieri di opposizione, ai quali Esposito – rivolgendosi a Giovanni Barone (PD) – ha chiesto una collaborazione fattiva, nel rispetto dei distinti ruoli:
“Il primo motivo è che è molto difficile oggi poter impiantare una nuova attività produttiva (di tipo manifatturiero, terziario, commerciale o ricettivo) o ampliarne una esistente, anche se fiorente e con buone prospettive di sviluppo: tra vincoli paesistici, idrogeologici, vulcanici e piani di coordinamento mai completati, allo stato non esiste una certezza delle possibilità urbanistiche e delle compatibilità ambientali. Un imprenditore investe in un territorio, di contro, come noto, solo in presenza di regole chiare, trasparenti (possibilmente semplici) e tempi di start-up veloci.
Le attività esistenti, inoltre, anche se con buone potenzialità sono svantaggiate dalla localizzazione “sparsa”, dalle impervie condizioni di accessibilità e dalla bassa integrazione con i servizi e le attrezzature.
Il secondo motivo è che manca una “visione” forte capace di mettere a sistema e rendere coerenti le tante imprese operanti sul territorio. A lungo l’economia anastasiana si è fondata sul settore edile, legato alle nuove costruzioni private e alle cooperative. La legge regionale n.21 del dicembre 2003, con l’istituzione della Zona rossa per il rischio vulcanico ha cancellato, da un giorno all’altro, un intero settore dell’economica locale, senza che al momento si sia consolidata alcuna convincente alternativa: si proviene da anni di penosa “sospensione”, in cui all’immobilismo della pubblica amministrazione ha fatto da controcanto solo una debole e necessariamente scoordinata miriade di piccolissime iniziative private, spesso di tipo informale ed incrementale.
E’ il momento di uscire dall’empasse, rilanciare l’economia locale ed avviarci ad un nuovo tipo di sviluppo. Nella consapevolezza che non è possibile cancellare gli ultimi dieci anni: non si può tornare ad una condizione “ante zona rossa” ma bisogna ripartire, con coraggio e pragmatismo, dalla condizione attuale.
Ripartiamo dalla ricostruzione della “visione”, della strategia. Ripartiamo dalla questione della “zona rossa”. Ripartiamo dallo sfatare una diffusa ma superficiale convinzione: che nei comuni vesuviani dal 2003 non si possano più costruire case: questo non è vero.
La finalità della “zona rossa” è la messa in sicurezza del territorio non la sua mummificazione (di certo non strumentale alla detta sicurezza). Se si legge con attenzione il “regolamento attuativo” della legge regionale — il Piano strategico operativo elaborato dalla Provincia nel 2004 — si capisce bene che in zona rossa è possibile “fare” una miriade di iniziative, anche comportanti incrementi volumetrici, anche a scopi residenziali (fino al 30% del volume esistente). L’unica pre-condizione è che le azioni sul territorio siano coordinate da un ragionamento urbanistico complessivo, che leghi premialità volumetriche e perseguimento della finalità strategica, ovvero migliorare le vie di fuga e la struttura del territorio. Nessun comune vesuviano si è addentrato in questo tema, veramente centrale, capace di ribaltare e metaforicamente “cancellare” la stessa “zona rossa”: le norme varate nel dicembre del 2003 sono norme di tipo “transitorio”: con un piano urbanistico è possibile, nell’ambito di regole chiare e strategie complessive, superare l’empasse, la condizione di sospensione che di certo non migliora le vie di fuga né rende più ricchi gli anastasiani.
Una cosa è certa: per contenere il rischio bisogna limitare la crescita demografica. Bisogna evitare di costruire un surplus edilizio che “attragga” immigrazione dai comuni contermini (cosa che invece era accaduta negli anni ‘70 e ‘80). Con questa condizione posta dalla Regione siamo politicamente d’accordo: la crescita indiscriminata e l’arrivo di “popolazioni immigrate” da Napoli e dai comuni più popolosi della piana non sarebbe un bene, né costituirebbe una svolta capace di rilanciare strutturalmente l’economia.
Pensiamo invece che due siano le condizioni capaci oggi di “svoltare”.
Innanzitutto occorre agire realmente per migliorarne la struttura territoriale ed i gradi di sicurezza. Il concetto è semplice: se è vero come è vero che il territorio va riformato occorre che l’ente pubblico (lo stato centrale, la Regione, l’Unione europea) finanzino adeguatamente il processo. Altrimenti la legge diventa solo un vincolo insensato e lo stato reale del territorio peggiora con gli anni senza che nessuna iniziativa possa veramente essere posta in campo. La questione centrale è questa: fatto il nuovo piano urbanistico, studiata, anche di concerto con la Regione e la Protezione civile la questione della messa in sicurezza, occorre poi fare gli interventi. Bisogna mettere mano ad infrastrutture ed altre opere pubbliche capaci di “innescare” un virtuoso processo in cui coinvolgere l’economia privata e le tante risorse e competenze locali. I soldi pubblici non mancano: la Regione è fortemente indietro con la spesa dei circa 50 miliardi di euro concessi dell’Unione europea e da “impegnare” in progetti credibili fino al 2013. Una parte di questi soldi può e deve essere spesa per effettuare la prima concreta azione di riforma territoriale del vesuviano: così si rilancia l’economia locale e si migliora la qualità della vita degli anastasiani.
Il “nodo” si sposta così dai “vincoli” al “progetto”, alla programmazione degli interventi. Stiamo ragionando approfonditamente di queste questioni da alcuni mesi: vogliamo costruire un quadro strategico ambizioso, un piano di qualità, capace di mettere insieme le tante, apparentemente divergenti, istanze: della qualità urbana, dello sviluppo, dell’agricoltura, della valorizzazione del paesaggio, anche a fini turistici.
Un piano che sia fondato sul “superamento” di quella condizione di sospensione che noi oggi individuiamo con la triste locuzione di “zona rossa”. Una condizione da cui si esce in primis pensando a sant’Anastasia come ad un posto dove localizzare nuovi servizi anche di scala metropolitana: attrezzature, centri di ricerca, terziario pubblico, ecc. Una nuova “infrastruttura di servizi pubblici” intorno ai quali far prosperare nuove iniziative imprenditoriali private, in zone dedicate ed appositamente attrezzate. Una condizione di sospensione da cui si esce pensando ad un grande “cantiere” di restauro del paesaggio, di riforma della città esistente e di messa in sicurezza del territorio.
Torniamo al primo problema enunciato: la dispersione sul territorio delle imprese e la possibilità di impiantarne di nuove o ampliare quelle esistenti.
Questo problema va affrontato ed almeno parzialmente risolto da subito: pensiamo di “anticipare” una parte del nuovo PUC all’immediato, andando a realizzare due aree attrezzate per l’insediamento e la razionalizzazione delle attività produttive. Abbiamo scelto, per velocità, di iniziare dalle zone destinate dal vigente Piano regolatore a Piano insediamento produttivo (PIP), iniziando da subito la realizzazione del primo “tassello” del progetto più complessivo prima enunciato. Un progetto che richiede la riformulazione del piano urbanistico di dettaglio, il lavoro su parti produttive di qualità, legate a centri di ricerca e servizi per le imprese. Aree in cui dare la possibilità anche alle piccolissime attività poste in centro urbano di delocalizzare ed ampliare la produzione, in aree ben collegate alle infrastrutture e corredate di appositi “incubatori” e centri di servizio.
Ultime ma importanti considerazioni la meritano le questioni legate al commercio:
1) per la media e grande distribuzione commerciale. Occorre, anche in questo caso, pensare con logica distrettuale, accentrando le iniziative possibili in un’area di scala adeguata, magari prossima a strutture preesistenti e alla rete del trasporto automobilistico veloce. E’opportuno lavorare per “connotare” l’eventuale distretto della grande distribuzione legando lo stesso al territorio e al paesaggio tipico (legare ad esempio la distribuzione alimentare a dei consorzi di produttori locali, con marchi DOP e DOC). 2) per le piccole iniziative commerciali di nuovo impianto: potranno essere previste a corredo ed integrazione delle attrezzature e servizi pubblici, a realizzare “centri civici” sparsi sul territorio, in particolare per servire le varie frazioni attualmente sparse e senza centri locali; 3) per favorire gli storici “negozi” urbani occorre invece provvedere ad un generale miglioramento della fruizione pedonale pubblica e la rigenerazione funzionale dei nuclei urbani tradizionali”.