Quel che resta dei partiti, della politica e dei sindacati non possono far finta di essere “sorpresi” dall’annuncio di Fincantieri che lo stabilimento di Castellammare chiuderà. Era tutto chiaro e previsto, da troppo tempo, che anche qui, dopo Bagnoli, chiudesse l’altra grande industria “pesante” dell’area napoletana.
Il “peso” di apparati vecchi e sovradimensionati, non è stato retto da un mercato globale che offre prodotti di cantieristica e siderurgia a costi molto più bassi dei nostri e, spesso, di qualità ritenuta, dal mercato, molto più soddisfacente.
A Castellammare e non solo, le fabbriche, da molto tempo, hanno funzionato solo perché lo stato è intervenuto con commesse o provvidenze pubbliche, garantite da una politica presente prima con “Gava & C.” da una parte e con un forte movimento operaio e un forte Pci, dall’altra, e poi con altre strategie (spesso assistenziali) di sostegno alle imprese di matrice pubblica.
L’annuncio di una crisi imminente, lo sciopero cittadino con le elezioni in scadenza, ed ecco che arrivava la commessa di un traghetto. Ancora una minaccia di crisi ed ecco la costruzione di una nave commerciale, poi di una militare e si tirava avanti con una corta prospettiva di futuro, ancora per qualche anno, licenziando e riassumendo operai e facendo sempre più ricorso a ditte collaterali.
Il lavoro a Castellammare, inteso anche come un “posto sicuro” s’identificava con i cantieri navali. Un privilegio di un’ampia fetta di lavoratori che, per molto tempo, tanti, lo hanno trasferito di padre in figlio, anche se l’erede non era talvolta “talentoso” e qualificato come il genitore.
E’ crollato un mito, una pietra miliare del lavoro di ingegno di orgogliosi e fieri operai. E’ stata cancellata la dignità di alcune generazioni con l’umiliazione di “quelli dei Cantieri”. Intanto la città, con gli operai senza lavoro, sprofonda nella disperazione che si esprime, spesso, con rabbia.
Anche nelle crisi si infangano sempre i più deboli. Non si risparmiano le critiche alle colpe e ai privilegi dei “sindacalisti” che “hanno generato e coperto tanti fannulloni e disonesti”. “Pochi hanno lavorato per tanti, così non si poteva andare avanti, le navi si varavano in ritardo e spesso con difetti”, si è sentito spesso ripetere in questi giorni, anche da colleghi operai.
Una bella, denigrante e falsa storiella. Nei Cantieri di Castellammare non si sono mai costruite navi in autogestione, sotto la “guida” di sindacalisti. Al contrario, la direzione si è sempre avvalsa di un management ampio, qualificato e spesso del Nord. Se una fabbrica funziona male la colpa non è “dei sindacalisti”, ma di chi fa i progetti, di chi studia le strategie industriali di chi organizza e gestisce le risorse umane e di chi ha il potere di fare in modo che i fannulloni, i furbi, i parenti dei camorristi ed anche i “mariuoli” non abbiano vita facile. Gli operai, prima delle navi eventualmente difettose, sono le vittime, non i protagonisti di questa cattiva gestione che, insieme alla crisi del mercato della cantieristica e alla incapacità dell’Italia di ammodernare il proprio sistema, ha portato alla decisione di chiudere i Cantieri.
Una grande storia, anche di grandi successi, in una rete di interessi non sempre diretti all’esclusivo e primario sviluppo della fabbrica e del benessere dei lavoratori. La “fabbrica delle navi” di Stabia è stata il serbatoio di consistenti voti operai, spalmati dal centro alla sinistra, che permettevano a Castellammare di esprimere ampie e qualificate rappresentanze politiche.
C’era da aspettarselo che al dilagare del vuoto e dell’inefficienza della politica, in molti guardassero al passato: “Antonio Gava non avrebbe mai permesso che si prendesse una grave decisione sulla pelle della città”, dicono alcuni sindacalisti e lo ripetono tanti operai.
Oggi, legittimamente, si protesta con disperazione crescente, ma nessun parlamentare si è visto al fianco degli operai, per sostenere, condividere e studiare soluzioni, mentre il Sindaco Bobbio vorrebbe “affiancare” l’Esercito, perche “la protesta degli operai deve rientrare nei limiti della legalità”. Si protesta come si può, anche con atti di violenza gratuita (la distruzione dell’aula consiliare e di alcuni uffici del Comune stabiese) ed anche danneggiando (con blocchi della strada costiera) l’industria del turismo della confinante penisola sorrentina che vive un momento non facile, con lavoratori che quest’anno non hanno ritrovato il lavoro.
Per denunciare la crisi di un segmento del lavoro nel territorio della provincia non bisogna arrecare danni ad altri lavoratori (non pubblici) di un settore delicatissimo (il turismo) dove l’immagine e l’efficienza del territorio sono gli elementi che consolidano l’offerta e, quindi, il mantenimento e lo sviluppo dei posti di lavoro.
Solo ora a Castellammare arriva qualche dichiarazione “politica” rituale, poco di sostanza, qualche invito a “tavoli”, sempre rituali, ma gli operai lottano da soli, facendo anche errori che fanno venir meno la solidarietà di altri lavoratori, ma lo fanno nella triste consapevolezza della fragilità e scarsa rappresentanza della classe politica meridionale e campana in particolare.
Anche la Chiesa stabiese, con il vescovo Cece che si è ricordato della visita di Giovanni Paolo II nel 1992, ha “scomunicato” il piano di Fincantieri, ed invitato tutta la città per martedì in cattedrale dove si chiederà la “grazia alla Madonna di Pozzano” e, forse, anche a San Catello.
Ecco, senza retorica o sterili buonismi di circostanza, al punto in cui è sprofondata la crisi Fincantieri, solo un miracolo può riaccendere qualche speranza.
La tristezza e lo sconforto, quindi la rabbia, nascono dal fatto che non si capisce chi lavora seriamente per dare una nuova prospettiva occupazionale ai tanti operai senza lavoro. Parole come “riconversione”, “rilancio produttivo” ed altre “smenate” che richiedono tempo, risorse e soprattutto progetti precisi, suonano come una beffa per chi, oggi, è senza lavoro. Le annunciate richieste della Regione al Governo di realizzare un “bacino per la costruzione di traghetti di ultima generazione”, potranno essere utili per i figli dei lavoratori. Certo, anche improvvisando, bisogna pur ricominciare.
“E’ importante tenere sempre presente che il lavoro è uno degli elementi fondamentali sia della persona umana, che della società. Le difficili o precarie condizioni del lavoro rendono difficili e precarie le condizioni della società stessa, le condizioni di un vivere ordinato secondo le esigenze del bene comune“.
Chi lo ha detto? Il Sindaco di Castellammare, il Presidente della Regione Campania, il segretario del più importante Sindacato degli operai, il Ministro del Lavoro, il capo del Governo, i responsabili dei partiti di maggioranza e di opposizione? Purtroppo nessuno di questi.
Le severe parole le ha pronunciate Benedetto XVI. Da qui, senza esitazioni, si deve ripartire se si vuol salvare il lavoro e i lavoratori (e forse anche la politica), anche a Castellammare di Stabia.
Antonio Irlando