Se lavoro e dignità, sono realmente alla base del vivere civile, in questi giorni, Castellammare ha rischiato veramente grosso. La “Città delle Acque”, perdendo il suo cantiere navale, avrebbe perso in un sol colpo, parte del suo glorioso passato e la tranquillità di un pacifico futuro. La storia ha intrecciato in maniera inscindibile il destino del Cantiere e degli stessi stabiesi. Un tempo a noi nemmeno tanto lontano, il lavoro al Cantiere si trasmetteva di padre in figlio e non di rado capitava anche che nello stesso periodo vi lavorassero tre generazioni della stessa famiglia. La vita sociale ed affettiva degli stabiesi da sempre viene scandita dal suono della sirena di inizio lavoro, pausa pranzo e fine giornata lavorativa. Ogni famiglia stabiese ha avuto almeno un proprio componente tra i lavoratori del Cantiere e molte hanno pianto per la morte sul lavoro di un loro congiunto. Morte che in taluni casi arriva ancora in maniera subdola e silenziosa, quando a distanza di anni, viene a verificarsi non più per un infortunio sul lavoro, ma… ammantata dal famelico amianto! Un connubio unico e indissolubile, fatto di sudore, sacrificio e di sangue, difficile da comprendere per chi non è stabiese, e che oggi ha dato la forza ad una intera collettività di riappropriarsi di ciò che le appartiene di diritto, e che negli anni è riuscita a conquistarsi con il sacrificio sul campo. Per gli stabiesi il cantiere navale è vita ed è fondamentale che continui ad essere il cuore pulsante della città di Castellammare di Stabia: lavoro è dignità, lavoro è vita!!! Maurizio Cuomo