Si tratta di una delle specie principali di batteri che vivono nella parte inferiore dell’intestino di animali a sangue caldo, tra cui l’uomo, e che sono necessari per la digestione corretta del cibo (fonte Wikipedia). Alcuni ceppi invece, hanno capacità di causare infezioni e dare origine a forme di diarrea. In particolare, il ceppo Escherichia coli VTEC, sierogruppo O 104 produce una potente tossina chiamata Vero-citotossina (Vtec). La Vtec si sviluppa nell’intestino poi, attraverso la mucosa, passa nel sangue e colpisce il rene, provocando una grave complicanza: la sindrome emolitico uremica (Seu). La conseguenza peggiore è l’insufficienza renale acuta (IRA), caratterizzata da una rapida riduzione della funzionalità renale e che, quindi, richiede dialisi.
La trasmissione dell’infezione da E. coli Vtec avviene principalmente a seguito di ingestione di alimenti e acqua contaminati con feci e per contatto diretto con animali o il loro ambiente.
Un quadro preoccupante, riscontrato inizialmente in una donna tedesca di 83 anni, deceduta il 21 maggio, dopo essere stata ricoverate il 15 maggio in ospedale per coliti emorragiche.
Nel frattempo Il bilancio delle vittime dell’epidemia di Escherichia coli è salito a quota 40, con 4.000 contagi in 15 Paesi.
Le autorità tedesche hanno identificato di recente l’origine della contaminazione nei germogli di vari legumi, tra cui quelli di fagiolo mung (in Italia noti come “germogli di soia” e usati comunemente nelle insalate), veri e propri incubatori del famigerato batterio killer. Tali germogli provenivano dall’azienda biologica Gaertnerhof, a Bienenbuettel, nel nord della Germania, in questo momento posta sotto sequestro. L’azienda imputata era un‘impresa agricola di eccellenza, che basava il suo business sulla qualità e la salute del prodotto.
«La qualità non si limita all’applicazione del bollino “bio” – spiega Roberto Defez, biotecnologo del Cnr – per dire che è un prodotto è coltivato secondo logiche puramente naturali; tutta la filiera deve esserlo. Nell’azienda tedesca probabilmente, – continua il ricercatore – i semi dei germogli provenivano da altre coltivazioni che hanno utilizzato letami “inquinati” dal batterio».
Il ricercatore si è soffermato poi sull’importanza di garantire il biologico a 360 gradi, per non incorrere nel paradosso di «definire un ortaggio bio, perché non usa fertilizzanti chimici, anche se cresce di fianco a una centrale nucleare».
Da un punto di vista sanitario la situazione appare critica nei Paesi più colpiti, dove gli ospedali fanno fatica a star dietro all’impennata di ricoveri. L’UE, dal canto suo, ha approvato l’assegnazione di 220 milioni di euro destinati ai produttori di cetrioli, pomodori, insalata, zucchine e peperoni che, nel mese di giugno sono stati costretti a ritirare i loro prodotti dal mercato, per via dell’epidemia.
Peccato che, a sentire la Coldiretti, questa psicosi in tutta Europa abbia già determinato un calo di vendite pari a 417 milioni di euro.
A pagarla cara sono stati Spagna (200 milioni), e Italia (100 milioni); quest’ultimo, il principale paese produttore di ortofrutta in Europa.
Il ministro della salute Fazio, con un comunicato stampa ed un intervento alla televisione di Stato, ha cercato di tranquillizzare l’opinione pubblica, ribadendo che «i nostri cibi e le nostre verdure sono assolutamente sicure. Non abbiamo problemi, la nostra sanità è sotto controllo, e le nostre strutture sono allertate». Le parole del Ministro sono rassicuranti ma di certo non dissuadono l’opinione pubblica dal rischio di contagio, nel qual caso, non esiste una cura specifica: la terapia antibiotica, come nelle gastroenteriti, non è efficace, anzi può peggiorare la situazione.
L’unica strada percorribile è l’applicazione di terapie di supporto; in altre parole, reidratazione per la diarrea e dialisi per limitare il danno renale.
L’unica vera arma per ridurre il rischio di contagio resta la prevenzione. È sufficiente osservare semplici regole igieniche come, lavarsi accuratamente le mani con acqua e sapone, piuttosto che conservare la carne cruda in frigorifero, separatamente da frutta e verdura. Le superfici e gli oggetti venute a contatto con alimenti crudi vanno lavate ed asciugate accuratamente.
A distanza di un mese dal primo caso in Germania, l’allarmismo sembra rientrata; ciò che resta è l’ennesimo caso di cattiva gestione delle emergenze a livello internazionale che, unita ad una contrazione profonda e repentina dei mercati di settore, simboleggia un momento storico di forte fragilità nell’economia, quanto nell’opinione pubblica.
Se ci fossero più informazione realistica e meno ideologia, le nostre scelte risulterebbero, per certo, più oculate e saremmo meno soggetti ad inutili crisi di panico.
Catello Somma