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“Antonio Cozzolino, ‘o Brigante Pilone”. In uscita il nuovo libro di Carlo Avvisati

Il volume di Carlo Avvisati, saggista e giornalista de Il Mattino, nasce da una dettagliata indagine storica che affonda le radici nel decennio successivo all’Unità d’Italia.

Basato su fonti archivistiche inedite, il libro, che si rivela una vera e propria avvincente cronaca dei fatti, ricostruisce le imprese, la vita e la morte del legittimista borbonico, ex sergente di Francesco II, re di Napoli.

Avvisati, per la prima volta, dopo un secolo e mezzo, svela i nomi e i soprannomi degli uomini della banda di Pilone, quelli dei suoi sostenitori e compaesani e gli altri dei suoi nemici. Rendendo nota sia la data e il luogo di nascita: 21 gennaio 1824 a Torre Annunziata (e non a Boscotrecase come sempre creduto), sia l’ora e l’esatta sequenza dell’episodio in cui il brigante venne ucciso, oltre al nome del traditore che lo consegnò nelle mani dei poliziotti, in via Foria, a Napoli.

«Età oltre la quarantina; statura alta; corporatura giusta;  capelli neri, corti e ricci; viso bruno, tendente originalmente al pallido; occhi piccoli e neri un poco sbarrati da qualche tempo forse per continua concitazione d’animo; naso un poco lungo e alquanto ricurvo; bocca giusta; barba lunga, scinta, spezzata in mezzo, con mustacchio,  qualche pelo grigio; testa alquanto inclinata; collo incassato». È  questo l’identikit di Antonio Cozzolino «Pilone» tracciato nel 1862 dal delegato di Pubblica Sicurezza Di Matteo, che assieme al delegato di «seconda classe» Giuseppe Petrillo, braccò il brigante legittimista lungo l’intero territorio vesuviano, e oltre, senza riuscire a mettergli le mani addosso se non dopo un decennio di guerriglia e scontri.

A un secolo e mezzo dall’Unità d’Italia, Carlo Avvisati, giornalista de Il Mattino, ripercorre le vicende storico – brigantesche che dal 1860 al 1870 sconvolsero il territorio vesuviano e con il  documentato saggio «Antonio Cozzolino, ‘o Brigante Pilone», edito per i tipi de Il Gazzettino Vesuviano, chiarisce e corregge le inesattezze e gli errori (come la data e il luogo di nascita)  che sino ad oggi hanno accompagnato la figura dell’ex sergente borbonico. Di più. Avvisati, nel saggio, utilizzando quali fonti privilegiate i verbali, le «riservate» di Arma, Questura e Prefettura e le trascrizioni dei processi custodite all’Archivio di Stato di Napoli, ricostruisce puntualmente i dieci anni di guerriglia e di scontri – dal 1861 al 1870 – che il piccolo esercito di Pilone ebbe con carabinieri, Guardia nazionale, agenti di pubblica sicurezza, battaglioni di soldati e compagnie di bersaglieri inviati a contrastarlo. E così vengono descritti dettagliatamente gli assalti alle carceri e alla Guardia nazionale di Boscotrecase, alla GN di Terzigno e al presidio delle GN di Boscoreale.

Nel libro, inoltre, si dice degli scontri di Torre del Greco, degli assalti a Scafati e a Pompei, dei sequestri riusciti – famoso quello del marchese Michele Avitabile, direttore del Banco di Napoli – o tentati, e delle estorsioni e dei ricatti. Dal volume, la cui prosa e chiara e scorrevole, emergono, dopo un secolo e mezzo di oblio, i nomi e i cognomi (a volte, anche i soprannomi, alcuni dei quali ancora oggi in uso in quelle cittadine) di boschesi, ottavianesi e terzignesi che fecero parte della banda o che a Pilone diedero sostegno morale e viveri e che per questo vennero messi ai ferri, inviati al confino, o passati per le armi.

Tra gli elementi particolarmente interessanti del saggio di Carlo Avvisati vanno segnalati la scoperta del nome della moglie (sino a oggi sconosciuto) di Antonio Cozzolino, Luigia Falanga, di Boscoreale, figlia di Pasquale «Mezzorotolo», e la ricostruzione dello scontro con l’ora esatta della morte del brigante. Antonio Cozzolino, difatti, fu ucciso a Napoli, alle nove e un quarto del 14 ottobre del 1870, in via Foria da un gruppo di poliziotti guidati dal delegato Petrillo, arrivati al brigante su soffiata di Salvatore Giordano, suo compaesano e commerciante al dettaglio.

Il saggio, infine, sottolinea anche come, per un secolo e mezzo, si sia sempre parlato di brigantaggio violento e sia stata stesa una cappa di silenzio sulle vessazioni e sulle vendette politiche che si consumarono da parte di chi aveva fiancheggiato e spalleggiato con il tradimento i conquistatori del Regno duosiciliano. Una conquista, questa, che fu sostenuta da soprusi, violenze, angherie e brutalità che accesero gli animi meridionali e li disposero alla rivolta. Anche perché, spesso, il brigantaggio, all’indomani dell’arrivo dei nuovi padroni, fu l’ultima scelta che tantissimi meridionali si videro obbligati a fare per evitare di morire di fame. Come accadde per Antonio Cozzolino, Pilone, perseguitato e costretto alla macchia dal sindaco del suo paese, per la fede borbonica professata.

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