Due famiglie di sette fratelli

Per comprendere meglio come, dopo l’8 settembre, vittime innocenti e spietati carnefici si trovino in entrambe le parti in lotta (repubblichi-ni e partigiani), può essere utile ricordare brevemente due tragiche storie avvenute in Emilia: quella dei fratelli Cervi e quella dei fratelli Govoni.I Cervi erano sette e furono trucidati dai fascisti nel dicembre 1943 in una delle più atroci azioni dei repubblichini di Salò.Convinti antifascisti, all’inizio del ’43 passarono dall’attività di pro-paganda alla resistenza armata ed, in seguito, intensificarono ulterior-mente il loro impegno per contrastare la Repubblica Sociale.All’alba del 25 novembre casa Cervi (oggi trasformata in museo), tra Campegine e Gattatico, in provincia di Reggio Emilia, fu circondata dalle camicie nere comandate da Cesare Pilati.Alcide Cervi ed i suoi sette figli (il maggiore, Gelindo aveva 42 anni, il minore, Ettore, soltanto 22) furono portati in carcere. Alcide tornò in libertà; i suoi sette figli, invece, furono fucilati dai fa-scisti il 28 dicembre nel poligono di tiro di Reggio Emilia, dopo la riu-nione di un «tribunale straordinario» svoltasi nella notte precedente.Anche i Govoni era sette e furono trucidati dai partigiani comunisti nel maggio 1945.Sei fratelli ed una sorella (Ida, la più giovane che non aveva ancor vent’anni mentre il maggiore, Dino, era quarantenne).Soltanto due di loro avevano alla Repubblica di Mussolini, ma anche gli altri cinque furono ammazzati.Il loro assassinio avvenne in un periodo di tremendi regolamenti di conti; furono presi a Pieve di Cento (Bologna), processati da un tribuna-le del popolo costituito da giovanissimi partigiani, denudati e strangolati uno per uno.I corpi furono ritrovati in una fossa comune soltanto negli anni Cinquanta, insieme ad altri quindici disgraziati (tra cui un ufficiale anti fascista) strangolati con loro.Due storie orrende; eppure, se tutti conoscono la prima (forse), sol-tanto pochissimi conoscono la seconda oppure, probabilmente, nessuno ne ha mai sentito parlare, né della prima né della seconda.

Francesco Rosario Lepre

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