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Il teatro in ripresa, anche a Napoli?

Tempo fa il Ministro dell’Economia, e quello della Funzione Pubblica, si affannavano ad attaccare la cultura in generale, ma il teatro in particolare. Definendola un’attività inutile, sprecona, perché ha sempre bisogno di essere “assistita”. Un predicozzo sballato, come dicono le cifre. Nel 2010 si sono venduti circa 23milioni di biglietti in tutti i teatri d’Italia: con un incremento, rispetto all’anno precedente di più del 3,5% degli spettacoli dal vivo. E in questi  biglietti staccati, le manifestazioni del Teatro di prosa (cioè non Musical, o Concerti), sono più di 14 milioni: un terzo del totale. E l’aumento osservato, che è generale,  è rilevante, se si pensa che il FUS (Fondo Unico per lo Spettacolo), la somma complessiva con cui lo Stato sostiene l’insieme delle attività dello Spettacolo si è ridotto ulteriormente rispetto all’anno scorso. Ma se si pensa alla crisi economica generale che ha ridotto perfino le spese per i generi alimentari, si deve addirittura gridare al miracolo. Però molti indicatori dicono che questa è una tendenza in atto in quasi tutti i paesi occidentali, a partire dagli USA: si sta manifestando una corposa riappropriazione di tutti gli “Spazi dal vivo”. Le ragioni sono evidenti. Questa è l’”Epoca” della piena, totale “sua riproducibilità tecnica” dell’”opera d’arte”, come recita il titolo dell’opera capitale di Walter Benjamin, che è del 36.

La Rete sta facendo diventare tutto ciò che è avvenuto e avviene nell’Arte e nello Spettacolo, un inesorabile presente: dalle riproduzioni dei quadri del Rinascimento, dei filmati di Carosello, dei Concerti di Jimi Hendrix, fino agli ultimi Concerti dal vivo di tutti i Big, tutto “avviene”, nel senso di “si consuma”, “solo” nell’oggi. Ecco perché c’è un riavvicinamento alle forme di spettacolo in cui meglio si “condivide la conoscenza emotiva”, come dice l’attore-regista Fabrizio Gifuni, riferendosi al teatro, “attraverso il corpo a corpo con lo spettatore”. Come anche per i Concerti musicali dal vivo, che stanno avendo un notevole incremento anno dopo anno.

E da noi? A Napoli, intendo in tutta l’area metropolitana, che va ben oltre la stessa provincia e coinvolge l’intera regione, c’è sempre stata, e cresce, una vera e spesso bruciante passione per il teatro: si vede nell’aumento del numero delle Compagnie Amatoriali. Sono tantissime e portano un discorso spesso nemmeno più amatoriale: frequentemente capita che sono dirette da attori e registi professionisti, che hanno messo su, a loro spese, con gravi sacrifici, dei veri e propri Teatri Stabili. Spazi piccoli ma dedicati, seguiti con crescente passione da pubblici attenti e costanti, che ne assicurano l’indipendenza e la sopravvivenza. A questo universo intellettuale, esteso e profondo, attinge la vivacità del teatro sperimentale che a Napoli ha trovato la sua consacrazione nel “Napoli Teatro Festival Italia”, che si svolge da giugno a luglio e a settembre. L’anno scorso, nel periodo giugno luglio, ebbe più di 100 mila spettatori; mentre oggi sono circa 10 mila, anche se le proposte odierne sono una metà di quelle dell’altra edizione. Ecco spiegato il perché il “Napoli Teatro Festival” è al centro di furiose polemiche. Voluto fortemente dall’Assessora Furfaro, della Giunta precedente, ha visto, con l’Assessora Miraglia della nuova Giunta, un cambio di Direzione: a Renato Quaglia che pure aveva dato buona prova, è subentrato Luca De Fusco, indicato, si dice, da Gianni Letta. Valido regista teatrale, ha sommato in sé tre prestigiosi incarichi, con i relativi lauti emolumenti: la Direzione Artistica del festival, cui è da aggiungere, non si sa perché, pure il 35% degli incassi; la Direzione Artistica però esclude la Gestione amministrativa, cui sono demandati (e pagati) altri; quella del Teatro Mercadante, ora eretto in Teatro Stabile e la Regia di “L’Opera da tre soldi”, un colossal da 720 mila euro, coprodotto, guarda un po’!, da Mercadante e Fondazione Festival. E’ vero che si è dovuto far fronte ad un abbattimento della cifra messa a disposizione, peraltro noto e programmato dallo stesso Quaglia, ma è evidenziata, in questa gestione, un tono meno arditamente sperimentale e coinvolgente che nel passato. Per quanto l’imprinting marcante resti rispettato, c’è da notare un minore interessamento di zone e quartieri periferici in cui, l’anno scorso erano state allocate alcune stimolanti produzioni “marginali” (il “Fringe Theater”).

Francesco Capozzi

 

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