“Ridere” al Maschio Angioino: in scena “I Migliori anni” di Peppe Lanzetta

È un riso amaro, tragico e poetico, quello dei “Migliori anni” di Peppe Lanzetta, proteiforme artista partenopeo autore di “InferNapoli”(Garzanti), rappresentato nel cortile del Maschio Angioino sabato 3 settembre, per la rassegna teatrale “Ridere”. Lo spettacolo è un affresco di Napoli, cartolina del male senza nessun riscatto se non nella sua genialità, tra le glorie del passato  e le ombre del presente. Così la città di Edoardo, Viviani, Patroni Griffi, Rea si trasforma in uno sfondo di violenza e miseria che la venatura comica dell’opera non copre, esaltandone al contrario  l’atrocità, l’assenza di senso. Tuttavia, nella desolazione generale e assoluta, la sorte si accanisce sulle donne: da Anoressica Jane, di “Racconti disperati”, una povera ricca che chiude la sua fredda terrazza sul golfo per trovare l’affetto di un clochard, a Barbarella, di “Figli di un Bronx minore”, fiore cresciuto nel cemento e nella brutalità della “167”, che, abbandonata da un amore agro, troverà sfogo solo nella vendetta. Ma è quando Peppe Lanzetta sale sul palco, con i suoi monologhi accompagnati dalla chitarra di Jennà Romano, che questo diventa cassa di risonanza di una città dimenticata, un inferno in cui, come ha scritto Roberto Saviano, l’autore “per primo ha messo viso e mani”. Scendendo nelle bolge, infatti, incontriamo i migranti, protagonisti di “A Lampedusa ò mare è ‘nfuso”, che bagnano il mare con le lacrime dei loro sogni infranti da una tempesta o da un confine d’acqua invalicabile quanto quello dei nostri pregiudizi innalzati contro di loro, che l’autore abbatte invitandoli tutti nella sua casa, stretti in una vicinanza umana. Proseguendo in questo cammino dantesco, ascoltiamo “ Vendo Gheddafi”, metafora surreale di una Napoli ricettacolo dell’assurdo, dove tutto si trasforma in battuta o baratto, in un mondo in cui le guerre fatte per l’oro nero non sono guerre e servono per “buttare giù un dittatore in più”. L’ultimo assaggio di inferno si trova in  “Pulp”, in cui l’attualità entra dirompente con la crisi finanziaria, le tasse, gli scandali e tutto appare come un universo imperscrutabile e caotico di acronimi e cifre, che l’uomo può sconfiggere solo evidenziandone l’assurdità, magari con una risata liberatoria. La conclusione non può che essere per l’Italia di oggi, decadente e derelitta, di cui Napoli non è che un frammento evidente ed esponenziale, descritta dalle parole di Pasolini nella poesia “Alla mia nazione”: “Terra di infanti, affamati, corrotti, governanti impiegati di agrari, prefetti codini, avvocatucci unti di brillantina e i piedi sporchi, funzionari liberali carogne come gli zii bigotti, una caserma, un seminario, una spiaggia libera, un casino!”.

Claudia Malafronte

Donazione sostieni il Gazzettino Vesuviano