L’idea di aprire anche a Napoli un centro di medicina alternativa venne al prof. Teresio Viglino, insegnante di Scienze Naturali presso Convitto Nazionale Vittorio Emanuel. Fino a qualche anno fa di istituti specializzati nella preparazione di farmaci omeopatici n’esisteva uno solo a Torino, anch’esso capitolato, qualche anno fa, come altri, obbligati per la sopravvivenza a vendere anche medicinali allopatici. In Europa sono in piena attività, uno a Vienna e l’altro a Praga. In Francia è molto diffuso l’uso di farmaci omeopatici. Da noi solo alcune farmacie hanno reparti specialistici.
La cura omeopatica è personalizzata e il medico ha bisogno di diluizioni e dinamizzazioni del farmaco per curare il suo paziente. E le richieste all’Istituto napoletano pervengono non solo da ogni parte d’Italia, ma anche dall’estero. Le sostanze che rappresentano i singoli farmaci omeopatici sono personalizzati non vengono somministrati in dosi massicce ma, al contrario in piccole dosi, in quantità estremamente diluite e preparate con metodi particolari che ne aumentano l’effetto.
Sorpreso dai brillanti risultati ottenuti dalla cura con rimedi omeopatici di una enterocolite acuta, il Viglino rimase talmente affascinato dalla materia, da lasciare l’insegnamento per dedicarsi agli studi di medicina prima e poi di Omeopatia e di aprire un laboratorio dove preparare le piccolissime dosi di farmaci. Il principio dello scienziato tedesco è curare il simile col simile, racchiuso in un testo fondamentale: l “organo o l’arte di guarire”, la cui prima edizione risale al 1810 ma pubblicata solo nel 1922 negli Stati Uniti di America da un seguace di Hahnemann.
Dal 1984 l’Istituto omeopatico di Piazza Dante è gestito dalla dottoressa Marisa Certosino, alla quale chiediamo i motivi della sua scelta di rilevare un’attività spesso al centro di diffidenza e ostracismo della medicina tradizionale.
“Come sempre capita nella vita, sono pervenuta per caso alla direzione di una farmacia omeopatica specializzata e con tanta storia alle sue spalle. Non a caso si chiama “Istituto omeopatico”, e la tabella, antica quanto la farmacia, ha iniziato ad incutermi un certo timore reverenziale”. L’annesso laboratorio, diventerà presto museo e biblioteca a disposizione di medici specialisti.
Abituata alle moderne farmacie allopatiche con il piccolo e nascosto reparto omeopatico, a stento reclamizzato da una mini insegna posta lì più per sciccheria che per richiamo, nell’entrare in quello che ai miei occhi apparve un piccolo ed antico museo, provai diverse sensazioni, apparentemente contrastanti, ma tutte, forse epidermicamente, negative. In quel momento il modo con cui mi avevano insegnato la professione, le mie precedenti esperienze di lavoro, il mio modo di essere in assonanza con la civiltà dei consumi mi poneva in posizione profondamente scettica rispetto a quella cattedrale della Omeopatia e, di conseguenza, rispetto a quel modo di essere e di svolgere la professione.
“Un’esperienza affascinante e coinvolgente nella misura in cui ho preferito una scelta di professionalità – continua la dottoressa Certosino – tant’è vero che nella farmacia una parte dei prodotti è preparata nel laboratorio annesso, così com’è pervenuto, ma arricchendo il laboratorio di una cappa di un dinamizzatore, di una stufa sterile e di provette che consentono i passaggi di diluizione, sia centesimali sia decimali. In tal guisa si è operato una sintesi tra il prodotto industriale, elemento indispensabile per consentire una rapida e larga distribuzione, ed il prodotto “artigianale”, che consente al medico di poter ottenere preparati mirati per una terapia molto personalizzata”.
Mario Carillo