Se immaginiamo Sasà, il “capo” della redazione presso cui lavorava il Giancarlo Siani del bellissimo film Fortàpasc, che conversa con l’attuale Sindaco di Torre Annunziata, Giosuè Starita, sulla spiaggia della “salera”, le cose che avrebbe detto sarebbero state queste: “Ci sono i cani e ci sono i padroni, tu che vuoi fare?”. Risponde Starita: “Nessuno dei due, voglio fare il Sindaco”. Incalza Sasà: “Lo sapevo che mi dicevi questo! E magari vuoi fare pure il sindaco-sindaco? Perché devi sapere che esistono due categorie: l sindaci-sindaci e i sindaci-impiegati”.
Questa la fantasia. Una rielaborazione di un bellissimo monologo di Sasà che “consiglia” Giancarlo Siani, sul lavoro del giornalista, frutto della straordinaria creazione cinematografica di Marco Risi, il regista di “Fortapàsc”. Un bellissimo film che ha la grande capacità di saper raccontare a tutti, finanche a tanti giovanissimi, il piacere e l’importanza del racconto della verità, ma soprattutto che il mondo si può e si deve cambiare con gesti quotidiani di ordinaria semplicità, ispirati alla giustizia e alla difesa del bene comune.
Viene da chiedersi: ma il Sindaco Starita ha ascoltato il consiglio di Sasà? Si comporta da Sindaco-sindaco o Sindaco-impiegato? Un sondaggio popolare, con i tanti strumenti di internet, forse sarebbe utile per dare una risposta.
Nei giorni scorsi su Rai1, è stato trasmesso il film in prima serata. Nei giorni precedenti la trasmissione di “Fortapàsc”, il sindaco di Torre Annunziata ha trovato il tempo per scrivere alla televisione pubblica, usando un frasario stantio che si usava una volta per appagare i potenti “benpensanti”, quelli che non volevano che si raccontassero storie scomode, che non tolleravano servizi giornalistici letti come ”attacchi ad una città che non è fatta di tutti delinquenti”. Più o meno ha chiesto alla Rai almeno un servizio compensativo… dove si racconti il “lavoro svolto in questi anni contro la criminalità”, precisando che tutti coloro che vedono il film “devono avere la possibilità di approfondire la conoscenza della nostra città e sapere che nella complessa vicenda Siani, Torre Annunziata resta comunque estranea”.
Il “servizio compensativo” come chiesto dal Sindaco non c’è stato, almeno sulla rete Rai. Forse indirettamente l’appello di Starita è stato raccolto da Canale 5 che ha trasmesso il film “Un’estate al mare” che ha battuto, negli ascolti, ”Fortapasc” per 4.035.000 spettatori contro 3.424.000. Io sono stato a “Fortapàsc” e non posso dirvi se il “cine-cocomero” ha mostrato il mare di Torre Annunziata, per la gioia di Starita. Spero proprio di no!
Ma la Rai ha fatto di più. Dopo il film ha raccontato una terra, quella infestata dagli interessi e dal fetore della camorra. Lo ha fatto bene, senza rassegnazione, con uno sguardo al futuro, alla speranza del cambiamento possibile. Lo ha fatto con i familiari delle vittime della camorra, da una villa sul golfo di Napoli sequestrata ad un boss della camorra ed affidata a chi è già al lavoro per un mondo senza mafie. Il servizio giornalistico “compensativo” (non come ha fatto intendere di volerlo Starita), il dopo film, portava una firma prestigiosa che non era stampata da nessuna parte: Giancarlo Siani. Una buona informazione che “profumava di vita” come solo Giancarlo sa farla! Lo ha capito molto bene il mio amichetto Pasquale, 13 anni, tra qualche giorno al liceo, che ha spiegato al papà che, in fondo, “è bello fare il giornalista-giornalista”. Proprio non riesco ad immaginare se Starita, che non ho il piacere di conoscere bene, la pensa come il mio serio e severo amichetto?
Il film è un’opera d’arte, un bellissimo racconto e non certamente un documentario, come qualcuno vuol far credere per denigrarne l’attendibilità. Le “invenzioni” di Risi servono al racconto di una vita appassionata, ispirata dalla potenza dei sentimenti e dalla forza della testimonianza. Giancarlo era un giovane, semplicemente giornalista, che non ha scelto di essere ammazzato dalla camorra. Ha scelto, invece, di essere dalla parte di chi vuol far crescere la giustizia, la non violenza, la pace, la democrazia, il rispetto e lo sviluppo del bene comune. Lo ha fatto come sapeva farlo, con la scrittura, ispirata dal racconto equilibrato, rigoroso e verificato della realtà che incontrava ogni giorno a Torre Annunziata, affrontandola sempre con serenità e con un sorriso di accoglienza rivolto a tutti, distinguendo sempre con lucidità chi era con tutti da chi operava contro tutti. Mai una parola di troppo, mai accenti di fanatismo, solo racconto di notizie, semplicemente notizie, interrotto dai killer della camorra, nel settembre del 1985, quando aveva solo 26 anni e voleva, finalmente da regolare e non più da abusivo pagato poche lire al mese, poter fare il giornalista-giornalista.
Giancarlo amava la ”sua” Torre Annunziata. Era nato a Napoli ed ogni sera vi faceva ritorno. Ma viveva le sue intere giornate a Torre Annunziata. Ancora oggi, mentre Giancarlo lavora più di prima per indicare a tutti ma soprattutto a tanti giovani le strade della legalità e i comportamenti per alimentare la speranza attiva, la “sua” Torre Annunziata sembra volerlo rimuovere con assurdi comportamenti pubblici. “E’ un estraneo, con la sua morte la città non c’entra, i guai se li è cercati rompendo le scatole, per favore a Torre Annunziata non parlateci più di Siani e delle stupidaggini legate al suo nome” è un mix di frasi dette o lasciate intendere che, periodicamente, si ha la sensazione di ascoltare. Ma è solo immaginazione o c’è anche questo dietro comportamenti pubblici da retrovia?
Ora un invito a tutti e una proposta a chi governa. Immaginiamo un luogo, anche fisico (e qui Starita può esibire tutti i suoi talenti e impegnare le residue energie politiche di fine mandato), un’area, un’immobile (esistono) di Torre Annunziata da chiamare proprio “Fortapàsc”, da cui far partire un grande progetto di sviluppo e di speranza per una città morente, in cui troppi continuano a far finta di nulla e pensare ancora con nostalgia ai tramontati primati del secolo scorso.
Fortapàsc (senza più le virgolette) avrà solidi pilastri nella legalità, nella democrazia e nella voglia incontenibile, dei giovani e di tanti, di un buon futuro.
Di questa “città della vita” che sarà proprio “Fortapàsc”, Giancarlo sarebbe certamente felice di esserne il “primo cittadino”, convinto di “vivere” in numerosa e buona compagnia, in un luogo libero dalle mafie.
Antonio Irlando