Recentemente sono stato a chiacchierare con Derrick de Kerckhove, ritenuto uno dei maggiori mass-mediologi del mondo, erede culturale di McLuhan, una delle menti più attive nello spiegare gli scenari del futuro nel “villaggio globale”, nell’era digitale. Mi colpì la naturalezza con la quale parlava di cosa sarebbe potuto accadere “domani” ai territori “bellissimi dell’area vesuviana costiera e della penisola sorrentina”. “Questi posti hanno un grande fascino a cui i cinesi che amano il mare non sanno resistere”, mi spiègò Derrick nel suo originale italiano, contaminato da molte lingue. “Potrebbero compraretutti i luoghi più belli e venire a vivere, lasciando poco spazio agli italiani che dimostrano di non curare molto quanto posseggono”. Pensai ad una battuta per essere provocatorio, come sanno fare gli intellettuali del suo calibro. Ma non era così. De Kerckhove, al contrario, parlò con convinzione, mostrandosi seriamente preoccupato nel ribadire il proprio pensiero. “Cinesi ricchi pagherebbero tanto la possibilità di vivere lungo questa costa e di potervi lasciare le spoglie”. Sono stato a pensarci per più giorni e non ero affatto contento, perché non mi sembrava pura immaginazione.
Le riflessioni di un filosofo con la mente sempre nel futuro che, in parte, mi sono sembrate estreme, hanno trovato un riscontro, sia pur indiretto, in quanto si è letto in questi ultimi giorni.
China Investment Corporation, l’istituto finanziario di Pechino, interamente posseduto dal governo cinese, sembrerebbe interessato a comprare pezzi di valore del nostro Paese. Cosa? Certamente non aziende decotte e con grandi conflitti; infatti, già qualche anno fa, scapparono dall’operazione Alitalia.
Tremonti ha incontrato Lou Jiwei, boss del fondo sovrano cinese, per fare cassa anche proponendo titoli di Stato italiani. La lega ha alzato una muraglia e “Giulio” non è più “uno di loro”. La Cic è interessata principalmente ad investire in infrastrutture e in piccole e medie imprese sane, per accrescerne il valore e la competitività. Nessuna operazione al buio per salvare carrozzoni, serviti solo agli interessi della politica e non a quelli più generali del Paese. Stanno trattando l’ingresso in Eni ed Enel.
Negli ultimi tempi i cinesi si incontrano dovunque. Nei luoghi dove c’è da trasformare ed innovare il Paese, nei luoghi dove la politica non è opprimente e dove la politica ha declassato il patrimonio nazionale. Ma anche dove c’è chi si “contrappone”, per i cinesi non vi è alcun problema. Arrivano, comprano, persuadono: sempre con tanti soldi. Energia alternative, lo stretto di Messina, banche, sono altre operazioni in corso da parte di aggressivi e talvolta spregiudicati capitali cinesi.
Però con l’Italia i cinesi hanno un rapporto che va oltre i soldi. Sono affascinati dal nostro Paese che ritengono la prima cellula della civiltà occidentale, un modello di modernità, l’ambizione d’identificarlo con quanto oggi stanno facendo per essere “moderni”.
I cittadini, la politica, il Governo, i governi locali, che fanno? Quasi nulla! Sembrano aspettare passivamente il “salvatore” o il “conquistatore” della nostra economia ormai gravemente malata, facendo finta di “governare il processo”. In molti, ormai con rassegnazione, sono convinti che sarà meglio diventar cinesi che rimaner senza governi.
Visto che ormai ci siamo, non sarebbe male ospitare, nel foro degli scavi archeologici di Pompei, una legione dei soldati dell’esercito di terracotta del primo imperatore cinese Qin Shi Huang. Tant’è che le “archeologie”, come afferma qualcuno, possono convivere, gemellarsi.
I cinesi sarebbero contenti per l’autorevolissima simbologia loro offerta, che racconterebbe della “conquista” d’Italia e dell’Europa.
Pompei sarebbe salva, forse anche l’Italia. In fondo i cinesi non sono così pericolosi e distruttivi come i “barbari” che stanno dilaniando, secondo una diffusa opinione mondiale, quello che è ritenuto ancora il Paese più bello del mondo.
Antonio Irlando