Martedì 20 settembre, presso il Tribunale dell’Aquila è iniziato il processo ai membri della Commissione nazionale per la previsione e la prevenzione dei grandi rischi. Ad essere processati, con l’accusa di omicidio colposo, gli esperti in materia di rischio sismico che nel 2009 dopo una riunione d’urgenza richiesta per le continue scosse di terremoto, che da mesi scuotevano l’Abruzzo, ritennero non allarmante la situazione. La rassicurazione scientifica indusse molti aquilani a rientrare nelle case, che avevano giudiziosamente abbandonato per la paura di una forte scossa, decisione che risultò fatale perché il sisma colpì duramente la notte del 6 aprile provocando 308 vittime, 1600 feriti, circa 20.000 edifici distrutti e 65.000 persone temporaneamente sfollate, provocando miliardi di euro di danni.
L’accusa ritiene dunque che se la Commissione grandi rischi si fosse espressa diversamente, decretando lo stato di imminente pericolo, facendo evacuare la popolazione, molte vite si sarebbero salvate. Un’attribuzione di colpa che, a guardare i fatti avvenuti, sembra non fare una piega, gran parte dell’opinione pubblica ha già emesso, infatti, un verdetto di colpevolezza. Una colpa che rischia però di imprimere il “marchio di Caino” sulla fronte della comunità scientifica. Chi crederà più al parere della Commissione grandi rischi quando sarà chiamata, in futuro, a decisioni di estrema urgenza ed importanza?
Ad esempio sarà proprio il parere degli esperti in materia di rischio vulcanico della Commissione grandi rischi a stabilire quando dare il via al discusso piano di evacuazione in caso di eruzione del Vesuvio, un piano che si basa molto sulla fiducia e la serenità della popolazione. Gli abitanti del vesuviano, infatti, nonostante alcuni allarmanti segnali, come piccole scosse di terremoto, dovranno mantenere la calma e i nervi saldi e fidarsi del giudizio della scienza. Altrimenti sarà il caos e si diffonderà il panico che, in un territorio sovraffollato come quello vesuviano, rischia di fare più danni dell’eruzione stessa.
Il processo dell’Aquila deve essere, dunque, un’occasione per stabilire le cause che hanno indotto gli esperti a minimizzare l’imminente rischio, e accertare eventuali errori nella comunicazione e nell’interpretazione del parere degli esperti. Il processo non deve apparire come una caccia alle streghe ma deve dare ottimi spunti per migliorare un sistema di fondamentale importanza e ridare così fiducia nella scienza. È fondamentale capire che la scienza non è assolutamente capace di fare previsioni certe, non esiste al mondo un’intelligenza o una tecnologia in grado di dire “domani ci sarà un terremoto a l’Aquila, un’eruzione a Napoli, un maremoto in Sicilia o una frana in Calabria”. Non esiste per il semplice fatto che la natura è imprevedibile. Questo non significa che non si possano fare delle previsioni attendibili (Forecast), infatti, avendo la giusta conoscenza delle dinamiche naturali del territorio, è possibile aspettarsi che in una determinata zona avvenga uno specifico evento se si verificano definite condizioni. Va quindi sfatato il mito della scienza da interpellare come l’oracolo prima della battaglia, è necessario capire che l’unica cosa che può fare la scienza è formulare previsione probabilistiche basate sulle informazioni raccolte, sull’esperienza e la memoria storica e l’attenta valutazione del contesto sociale dell’area potenzialmente colpita. È fondamentale assicurare alla scienza la dovuta autonomia e serenità, non dovranno esserci logiche economiche e ingerenze politiche ad impedire che si proceda ad un’evacuazione (immaginate le polemiche e le accuse se gli esperti avessero dato l’allarme e il terremoto non si fosse poi verificato?) circostanza questa che potrebbe essere determinante per l’attuazione di un piano complesso e costoso come quello predisposto per il rischio vulcanico al Vesuvio. Bisogna assicurasi infine che ci sia una giusta chiarezza di linguaggio tra la scienza e il pubblico, magari sarebbe il caso di nominare anche una “Commissioni per comunicare le decisioni sui grandi rischi”. Solo così, forse, si potranno scongiurare sciagurate decisioni, come quelle prese all’Aquila, costate la vita a tante persone.
Ferdinando Fontanella
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