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Nel golfo di Napoli una ricerca importante: dalle alghe un filtro per depurare le acque e produrre energia

In natura quello che per alcuni è rifiuto, per altri è risorsa. Seguendo questo basilare principio ingegnosi ricercatori del Centro Interdipartimentale di Ricerche per la gestione delle risorse idrobiologiche e per l’acquacoltura (CRIAcq) dell’università Federico II di Napoli, in collaborazione con l’università britannica di Cranfield e la CO.GE.I di Napoli, hanno pensato di usare le acque in uscita dai depuratori come terreno di coltura per la crescita di microalghe. Il prosperare di questi organismi, recentemente sperimentato nel golfo di Napoli, garantisce una migliore depurazione delle acque reflue e la produzione di energia. In esclusiva per i lettori de il Gazzettino Vesuviano proponiamo l’intervista alla prof.ssa Carmela Maria Assunta Barone, responsabile del progetto e al dott. Pier Antimo Carlino, Dottore di ricerca in Acquacoltura collaboratore a progetto .

Gentile prof.ssa Barone, se si dovesse fare la classifica dei problemi che affliggono l’umanità negli ultimi anni non v’è dubbio che nei primissimi posti comparirebbero i termini energia ed inquinamento. Esiste la reale necessità di trovare fonti energetiche alternative al petrolio e ridurre la pressione inquinante che l’uomo esercita sul pianeta. Tra le soluzioni più promettenti va sicuramente citato l’impiego delle microalghe. Potrebbe spiegarci cosa sono e in che modo questi organismi producono energia e allo stesso tempo riducono l’inquinamento?

Le microalghe sono organismi unicellulari fotosintetici, ovvero capaci di utilizzare l’energia della luce e alcuni elementi come azoto e fosforo per poter riprodursi e crescere. Durante la loro vita, in relazione ad alcune particolari condizioni, possono aumentare la produzione di acidi grassi che dopo opportuna trasformazione  diventeranno carburante, ovvero biofuels. Una volta estratto il composto di nostro interesse, la biomassa residua può essere utilizzata come fertilizzante o mangime (ricco di proteine). Per poter crescere inoltre è necessaria la presenza di acqua, una risorsa preziosa. L’impiego di acque depurate consente di recuperare tale risorsa.

In natura nelle acque eutrofiche, ossia troppo ricche di sostanze nutritive in particolare di nitrati e fosfati, si verifica la cosiddetta fioritura algale, fenomeno tristemente noto per i tanti problemi arrecati all’economia turistica delle città rivierasche. La copiosa crescita delle alghe genera, in molti casi, mucillagini che causano gravi danni estetici  e altera l’equilibrio chimico/fisico delle acque in seguito alla variazione dell’equilibrio dei gas disciolti e al rilascio di tossine provocano la moria della fauna marina. L’utilizzo delle microalghe per la depurazione delle acque e la produzione di energia, in un certo senso, non è altro che la riproduzione controllata di questo fenomeno naturale. Potrebbero perciò verificarsi problemi per gli ecosistemi causati dal rilascio di acque di scarico depurate ma con l’eventuale presenza di mucillagini, tossine e l’alterazione dell’equilibrio dei gas?

Il rilascio di acque di scarico non depurate e dunque ricche oltremodo di nutrienti, porta inevitabilmente a squilibri tipici dell’ambiente marino-costiero. La nostra legislazione ci impone di “tenere in ostaggio” l’acqua nei depuratori fino a quando gli inquinanti (chimici, fisici e microbiologici) non scendono sotto certi limiti. Una volta depurata, l’acqua conserva un quantitativo consentito di nutrienti (nitrati e fosfati) che la rendono idonea ad essere reimpiegata per altri usi come quello fertirriguo e, per analogia, alle colture algali. Su questi presupposti normativi e tecnici noi del CRIAcq e i nostri partner (Cranfield University e CO.GE.I. s.r.l.) abbiamo sviluppato il piano sperimentale per impiegare l’acqua “liberata” dai depuratori e ottenere in tal modo terreno di coltura a costo zero e a km zero. Tale strategia, seppur sperimentale, ci permetterebbe di eliminare dal nostro ecosistema alcuni tra i più importanti fattori di rischio per l’ambiente. Infatti l’adozione di fotobioreattori al fianco dei comuni depuratori potrebbe avvenire laddove vi siano ancora depuratori di vecchia generazione che necessitano di un upgrade a causa del sopraggiunto aumento di portata inquinante. Riducendo la possibilità di eutrofizzazione delle acque potremmo evitare sempre più che, al verificarsi di particolari condizioni climatiche, si instaurino le cosiddette fioriture algali con le conseguenti ed inevitabili produzioni di biotossine pericolose per la fauna acquatica e la salute umana.

La sperimentazione sul possibile impiego delle microalghe, recentemente fatta nel golfo di Napoli utilizzando, come terreno di coltura, l’effluente depurato degli impianti di Nerano in Penisola Sorrentina e Occhiomarino a Capri, gestiti dalla società GORI, ha dato ottimi risultati. Quali saranno i successivi passi della sperimentazione, e che tempi prevede per il normale impiego di questa tecnologia?

Continuando la collaborazione tecnico-scientifica con la CO.GE.I. s.r.l. e confidando in una rinnovata disponibilità da parte della GORI, il passo successivo della sperimentazione è la coltivazione su scala più importante al fine di continuare a sviluppare un modello valido di coltivazione fotobioenergetica in cui l’acqua da noi utilizzata possa essere reimpiegata validamente per scopi industriale ecosostenibili ed ecocompatibili. I tempi previsti per l’impiego a regime di tale tecnologia possono essere pari a zero, oppure pari a 3-5 anni, a seconda del livello di automazione ed ingegnerizzazione e del livello produttivo di biocarburanti e di profitto che si vuole raggiungere.   Ferdinando Fontanella

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