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Sant’Anastasia, il sindaco: “La Zona Rossa va cambiata”

«La Zona Rossa va cambiata». Lo chiede a gran voce la giunta comunale di Sant’Anastasia guidata dal sindaco Carmine Esposito, impegnata in questi mesi ad affrontare l’intrigato labirinto dei limiti urbanistici che rischiano di rallentare il progetto di crescita e di sviluppo del   Piano Urbanistico Comunale (Puc), attualmente  in fase di redazione. Convegni, dibattiti e provocazioni mediatiche non hanno portato finora all’apertura di un tavolo di discussione con gli enti interessati. Eppure, è stato lo stesso assessore regionale al ramo, Marcello Tagliatatela, ad ammettere che «questo territorio è gravato da troppi vincoli» durante un convegno a Sant’Anastasia.   «Ma non ci scoraggeremo» dice Esposito impegnato a promuovere nei prossimi giorni ulteriori iniziative. La legge regionale 21 del 2003 –  che ha rinchiuso i 18 comuni vesuviani all’interno della zona rossa ad alto rischio sismico –  «è una legge sbagliata» ribadisce il primo cittadino. «Incompleta nella sua definizione». Essa infatti avrebbe dovuto prevedere l’elaborazione di un Piano Strategico Operativo (Pso)  – già approvato dalla Provincia di Napoli e mai confermato dalla Regione –  per compensare i territori penalizzati, con misure integrative fino al 30% in più della cubatura esistente, fermo restante l’impegno a non aumentare l’incidenza demografica. «Se dunque bisogna applicare la legge, bisogna farlo nella sua interezza. Ci devono dare i soldi per le infrastrutture e la messa in sicurezza degli immobili esistenti» insiste il sindaco vesuviano. «Le vie di fuga in caso di eruzione vulcanica vanno realizzate». Esposito intende fugare così ogni speculazione politica.  «I limiti designati per individuare l’area a rischio –dice- sono frutto di un’operazione truffaldina». Il perché lo spiega così. «Se rischio c’è, secondo l’indicazione della Protezione civile, la zona rossa dovrebbe essere ampliata fino a comprendere l’area flegrea e  le città di Napoli e Caserta. E non si capisce perché non lo abbiano fatto». «La cosa avvilente -prosegue- è l’assenza di qualunque decisione. L’immobilismo crea incertezza  e fa aumentare gli abusi di necessità.  Non possiamo rimanere passivi davanti a un  paese che muore per consunzione». Piuttosto i confini vanno ridiscussi. E per quanto riguarda il Puc, abbiamo la necessità di elaborare un piano di sviluppo della città che ci faccia uscire dall’impasse. «La nostra idea è la creazione di un tavolo di copianificazione con gli enti sovracomunali per alleggerire tempi e procedure amministrative. L’ipotesi formulata negli studi preliminari del Piano è di ristrutturare la parte storica, prevalentemente a monte del paese, riducendo la cubatura residenziale e convertirne la destinazione d’uso, sul presupposto di considerare una gradualità del rischio vulcanico ed idrogeologico». Se così non fosse, i cittadini sarebbero doppiamente svantaggiati con una serie di conseguenze negative per l’economia della comunità. Da non sottovalutare il blocco delle entrate per l’ente comunale, quindi la contrazione dei servizi. Vogliamo le forme di compensazione, con il trasferimento di uffici direzionali e centri di ricerca.

Pasquale Annunziata

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