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Rapporto Obi: “Il Valore Aggiunto dei Comuni del Mezzogiorno. Stime e previsioni”

Giovedì 13 ottobre, alle ore 10 e trenta, presso la sala degli Atti Parlamentari della Biblioteca Giovanni Spadolini del Senato della Repubblica, a Roma, l’Obi Osservatorio Banche-Imprese di Economia e Finanza presenta il rapporto dal titolo “Il Valore Aggiunto dei Comuni del Mezzogiorno. Stime 1995-2010 e Previsioni 2011-2015”.

Ad illustrare il documento, il presidente dell’Obi, Michele Matarrese e il direttore generale, Antonio Corvino.

Ne discuteranno Claudio Quintano, rettore dell’Università di Napoli Parthenope, Adriano Giannola, presidente della Svimez, Paolo Buzzetti, presidente Ance e Massimo Lo Cicero, dell’Università La Sapienza di Roma.

A seguire, sono previsti gli interventi del sottosegretario al ministero dell’Economia e delle Finanze, Bruno Cesario e di Francesco Boccia, coordinatore delle Commissioni economiche dei gruppi parlamentari del Pd. Modera l’incontro il vice direttore del Tg1, Gennaro Sangiuliano.

Il rapporto – che fornisce, per la prima volta, una stima del valore aggiunto comunale suddiviso per macrosettori, dal 1995 al 2010, nonché le previsioni fino al 2015, attraverso l’innovativa metodologia Todomundo (stime Top-Down municipali degli aggregati domestici) – offre nuovi strumenti capaci di cogliere le caratteristiche ed i mutamenti dei sistemi produttivi delle singole economie locali, colmando un vuoto informativo particolarmente sentito da analisti e policy makers.

Dal Rapporto dell’Obi, il Mezzogiorno emerge come un aggregato talmente differenziato al suo interno da dover parlare più propriamente di “Mezzogiorni d’Italia” dove coesistono, l’uno accanto all’altro, Comuni con livelli di reddito e ritmi di crescita molto diversi. Nel 5% dei Comuni più ricchi, il reddito pro capite supera la media del Meridione con punte che arrivano fino a 4 volte e mezzo la media del Meridione. In quelli più poveri, il valore aggiunto per abitante non raggiunge nemmeno la metà della media del Mezzogiorno in più di un caso su cento.

La geografia del reddito disegnata dalla ricerca Obi mostra quindi un territorio a macchia di leopardo, in cui la crescita aggregata è frenata anche dalla scarsità di collegamenti fisici e relazioni economiche tra le aree più sviluppate. La carenza di scambi ha finito infatti per frenare lo sviluppo omogeneo di un’area che rappresenta oltre un terzo del Paese, privilegiando la crescita di sistemi isolati e quasi autarchici, le cui dimensioni rimangono comunque troppo ridotte per assicurare una crescita solida e sostenuta. Gli interventi di natura prevalentemente assistenziale degli scorsi decenni hanno spesso creato, nel migliore dei casi, alcune precondizioni dello sviluppo economico del Mezzogiorno, senza che si avviassero processi virtuosi di crescita endogena.

“In mancanza di provvedimenti adeguati, le previsioni per il prossimo quinquennio indicano un progressivo allargamento del gap con il resto d’Italia – spiega Antonio Corvino – Le prospettive di crescita risultano piuttosto differenziate. Da un lato, vi sono i Comuni di Abruzzo, Basilicata, Molise e Sardegna in cui il valore aggiunto totale potrebbe crescere complessivamente attorno al 5% nell’arco del quinquennio, con un record del 5,6% per il piccolo Molise. All’estremo opposto c’è la Campania, che rischia di perdere il 2,5% del proprio valore aggiunto da qui al 2015. Tra questi casi limite si collocano i Comuni di Calabria, Puglia e Sicilia, che potrebbero registrare una crescita cumulata dell’ordine del 3,2–3,6%”.

Sulle prospettive del Mezzogiorno, si legge ancora nel rapporto, peserà inevitabilmente il processo di ristrutturazione del comparto pubblico, che ha un ruolo tradizionalmente più rilevante proprio in quest’area del Paese: il 35% del valore aggiunto contro poco più del 18% nella media nazionale. Supponendo che tale divario sia dimezzato nell’arco dei prossimi dieci anni, questo processo comporterebbe meccanicamente una minore crescita del Pil meridionale di oltre mezzo punto l’anno, senza contare gli effetti sull’indotto.

Tenuto conto della forte eterogeneità del Mezzogiorno, sottolinea l’Obi, è indispensabile adottare interventi differenziati per ciascun territorio, adoperando un approccio sistemico teso a migliorare l’intera struttura produttiva di ciascun comune, per renderla capace di sfruttare le sinergie con il territorio circostante e con il resto del Paese.

Per fare ciò, conclude il documento, è necessario passare da un modello di sviluppo basato sul tradizionale Tac (tessile, abbigliamento/arredamento e calzaturiero) ad un Tac 2.0 fondato invece su un sistema che da un lato recuperi le eccellenze del Tac tradizionale e dall’altro punti ad uno sviluppo integrato dei comparti turismo/territorio, agricoltura/agro-industria, cultura/creatività, che valorizzi le specificità del territorio e favorisca l’integrazione delle economie locali.

Maggiori informazioni sono disponibili sul sito www.bancheimprese.it.

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