La vendemmia, rito ancestrale legato alla civiltà contadina e all’arrivo dell’autunno, si arricchisce di significati ulteriori quando il luogo in cui avviene è altrettanto antico e suggestivo come gli Scavi di Pompei. L’appuntamento, giunto ormai alla sua dodicesima edizione, si è tenuto il 20 ottobre presso il Vigneto del Triclinio estivo alla presenza della dottoressa Anna Maria Ciarallo e del dottor Ernesto De Carolis, rispettivamente precedente e attuale direttore del Laboratorio di Ricerche Applicate della Soprintendenza Archeologica. L’evento è stato ideato proprio nell’ambito degli studi del predetto laboratorio che, basandosi sui calchi delle radici delle viti come sulle testimonianze letterarie ed iconografiche, ha potuto attestare la presenza di numerosi vigneti all’interno della città e ricostruirli proprio nei luoghi in cui essi erano situati prima dell’eruzione. Secondo fonti risalenti, infatti, Pompei era una città di fiorenti commerci e produzioni e tra queste particolarmente importanti erano quelle della lana, del garum, ma soprattutto del vino che attraverso il porto fluviale del Sarno veniva esportato e raggiungeva le sponde degli altri paesi del Mediterraneo, mentre un’ altra parte dell’uva veniva destinata ad uso medicinale o alla conservazione dei cibi. All’esperienza davvero singolare di assistere alla raccolta delle uve circondati dalle vestigia romane si aggiunge la possibilità di gustare del vino prodotto all’interno della cinta muraria stessa secondo gli antichi metodi di coltivazione e in condizioni climatiche e territoriali uniche, come affermato da Antonio Dente e Antonio Capone, esperti dell’azienda vitivinicola campana Mastroberardino. Proprio a quest’ultima, del resto, si deve, oltre alla collaborazione nelle ricerche, la produzione del suddetto vino denominato “Villa dei Misteri”, costituito dalle uve sciascinoso e piedirosso e dotato di marchio IGT, produzione che può contribuire al mito di Pompei nel mondo ed arricchire le scoperte scientifiche legate all’archeologia. D’altronde l’esperimento di far rivivere le viti e il vino della città sepolta andrà avanti aggiungendo una nuova varietà di uva, l’aglianico, cui di recente è stata destinata un’ulteriore area. Quindi, seppure non conosceremo mai il vero sapore dell’antico vino romano, le cui “ricette” con miele e acqua sono andate irrimediabilmente perdute, possiamo comunque rievocare attraverso la vendemmia il fascino di un mondo scomparso e sognare che Pompei possa finalmente rinascere.
Claudia Malafronte