Pompei, ad un anno dal crollo della Schola Armaturarum manifestazione del Comitato Cincinnato

Dopo la sfilata di ministri e commissari europei, su Pompei e i suoi annosi problemi prendono la parola i cittadini e gli appassionati, passando dai proclami e dalle rassicurazioni all’indignazione e alle preoccupazioni per il suo presente e, soprattutto, per il suo futuro. La manifestazione “pro restoration Schola Armaturarum” è stata indetta dal Comitato Cincinnato Pompeii, associazione che da anni promuove la conoscenza anche a livello internazionale del sito, scegliendo la data simbolica del 6 novembre, giorno infausto del crollo della domus nel 2010, evento rinviato  al 12, a causa  delle cattive condizioni meteorologiche. Così nella piazza Anfiteatro, proprio davanti all’ingresso del sito che solo una settimana fa rimaneva chiuso per le intemperie, hanno preso vita le storie di  Domenico Fontana, Giuseppe Fiorelli, la principessa Carolina Bonaparte, nomi e volti che hanno contrassegnato la nascita della città sepolta riportandola alla luce, consegnandola, malauguratamente, alla rovina moderna. C’è, quindi, da rimpiangere che Pompei sia stata scoperta, meritando un’ altra civiltà o forse solo un altro Paese, che sapesse amarla e difenderla? Dall’estero, infatti, molti si collegano alla manifestazione, si interessano, vogliono sapere, noi qui smettiamo di farci domande oppure continuiamo a ripetere che i danni sono contenuti e inevitabili. Ma è davvero così? A vedere le foto della Schola Armaturarum che fu, i suoi affreschi, sembra di aver perduto qualcosa di insostituibile, perchè anche una sola pietra che cade in un santuario dell’Arte come Pompei dovrebbe essere sentito da tutti come una perdita e non come un danno collaterale e imprevedibile. E della Schola Armaturarum cosa si può dire, cosa è stato fatto? Come mostra impietosamente un filmato girato dallo stesso Comitato, nel corso di un’azione dimostrativa negli Scavi, è possibile soltanto avvicinarsi  a una recinzione che ne impedisce la vista e oltre la quale giacciono le rovine ancora intatte, immutate a un anno di distanza. Tuttavia, non è possibile arrendersi e lasciar marcire un patrimonio che non appartiene solo a noi, ma di cui noi, come Italiani e Pompeiani, dovremmo farci custodi e tutori. Per questo è necessario fare delle proposte, come sostiene Felice Bergamasco, anima dell’associazione, che ha in programma la formazione di una società per azioni, con un azionariato diffuso, per realizzare due progetti: un museo dinamico, volto alla conservazione e produzione, e ridare vita all’Anfiteatro, la cui capienza di ventimila posti lo rende luogo ideale per rappresentazioni importanti e suggestive. Il tutto, ovviamente, in vista dello sviluppo della città, della tutela dell’arte e di nuovi posti di lavoro. È bello immaginare che l’Anfiteatro diventi l’arena di Verona e una volta tanto in questo Sud martoriato le nostre ricchezze impariamo a valorizzarle invece di distruggerle. Il presente, però, rende ancora vere le parole di Proust: “I veri popoli barbari non sono quelli che non hanno mai conosciuto la grandezza ma quelli che avendola conosciuta in passato, non sono più in grado di riconoscerla”. E soprattutto non sanno tutelarla o peggio la ritengono poca cosa, viene da aggiungere. La  passione e la dedizione di questi ragazzi, il loro grido di dolore mirano a scuoterci, ma  solo l’ impegno di tutti può cambiare il corso di quella che sembra una decadenza ineluttabile, perché Pompei e il suo destino siano sentiti davvero come il nostro problema, come una fetta del nostro patrimonio di cui riappropriarci, altrimenti la consegneremo a un oblio più feroce di quello subito nel 79 d.c., l’oblio della nostra indifferenza.

Claudia Malafronte

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