All’Università Federico II con Vinicio Capossela, fra mitologia e realtà

Ieri mattina presso l’Aula Piovani della facoltà di Lettere e filosofia della Federico II, in Via Porta di Massa, si è tenuta una lezione molto originale. Accanto al preside Arturo De Vivo e al docente di filologia classica Gigi Spina sedeva il noto cantautore italiano Vinicio Capossela col suo berretto da marinaio e una ricca storia da raccontare a centinaia di studenti accorsi ad ascoltarlo.

L’iniziativa prende spunto dall’ultimo lavoro discografico del cantante “Marinai, profeti e balene”, la cui essenza nasce a partire dalla riscoperta di miti della letteratura classica. I temi che ricorrono sono quello del mare e delle sirene, coinvolgendo, proprio come fanno le onde del mare, molti altri pensieri e racconti. Ironicamente l’artista esordisce affermando che il suo primo contatto col mare è iniziato ‘marinando la scuola’ e termina col racconto di ‘una notte di birra’ da cui nasce il testo e la musica de “Il canto delle sirene”.

L’incontro-dibattito sembra essere intriso da un messaggio sottile che come una matrioska ne contiene in sé degli altri: la nostalgia nel suo senso etimologico e remoto di patologia che affliggeva chi, come i soldati svizzeri, mancavano per troppo tempo da casa (il dolore del ritorno); la malinconia, una categoria che il cantautore differisce dalla prima perché un’attitudine dell’animo più passiva; la natura come unica fonte di perfezione in opposizione alla natura umana che tende ad una completezza perfetta, ‘ma nessuno è mai protetto dalla sua debolezza’; la bellezza e la scrittura come fonte di conoscenza e ripresa di se stessi.

‘Scrivere per ritrovare delle cose che ci appartengono. Non a me solo, ma a noi tutti. Scrivere musica, o altro, è un modo per riattivare un procedimento interno ad ognuno di noi. Un qualcosa che va oltre ciò che siamo, che ci racconti come farebbe un amico nell’esporci ciò che pensiamo.’

Così Vinicio descrive il suo modo di fare arte dopo aver elogiato la stessa musica e l’amore per essa come un qualcosa di salvifico, di educativo e che ci rende migliori a qualsiasi livello.

Le parole del cantautore fanno da cornice ad un’analisi precisa: ‘cosa ispira oggi un artista ad attingere al mondo classico?’ Ed è sulla scia di tale domanda che subentra l’importanza della riscoperta, l’indole nostalgica che prende il sopravvento: ‘per fare un passo dobbiamo sempre lasciare indietro qualcosa. L’Odissea di Omero, per esempio, mi ricorda la figura patriarcale della nonna-mamma. Il senso dell’onore, l’importanza del linguaggio, il senso del ritorno come valore e forma di una propria mitologia personale. L’uomo come materia ancestrale. L’uomo come creatura denudata dal tempo, come se le vicende della sua vita divenissero esemplari.’

Una fusione, quella fra musica e letteratura che, come l’ artista ricorda, viene a definirsi dalla stessa forma orale e cantata del mito, la cui struttura metrica ben si presta alla realizzazione contemporanea di versi in musica d’autore.

Interessante è allora la mescolanza fra mito, epica e realtà da cui prende forma il testo ‘La lancia di Pelide’, dietro cui scopriamo esserci anche lo zampino di Roberto Benigni:

‘l’idea della lancia che ferisce e guarisce e che, simbolicamente, cela la figura e il duplice ruolo della donna, nasce da una chiacchierata con Benigni’ – racconta Capossela. L’attore fiorentino, infatti, dichiarando che dal mito nulla nasce per caso, prende in esempio il mito della lancia di Achille. Essa oltre a ferire aveva il potere di guarire con un secondo colpo la ferita inferta. ‘Le ferite che m’infliggi solo tu me le puoi guarire’, proprio come la donna che per analogia viene paragonata all’arma e alla ferita che col solo sguardo scaturisce.

Un testo quasi elegiaco che rievoca l’Ovidio maestro e medico d’amore.

‘Il mito è un po’ come le chiavi dell’auto, poi, però, ci vuole la benzina’ scherza Capossela. E se una mente che crea, a volte, può essere paragonata ad una macchina, nel caso nostro, la benzina ha un po’ il sapore della birra. La giornata si chiude, difatti, col racconto della notte in cui, in compagnia dell’amico Christopher Wonder e una birra, nasce ‘Il canto delle sirene’. ‘Le sirene’ – spiega Vinicio- ti seducono portando alla luce la memoria di ciò che sei. Il loro canto incessante ti sfinisce e uccide perché nell’ascoltarle smetti di fare tutto, mangiare, bere, persino pensare e lasci che le loro voci ti arricchiscano di una storia diversa da quella che ci raccontiamo quotidianamente. Fondono tutto insieme ciò che non vedremo mai più e allora, forse, capisci che la vita è ad un livello più basso di quello a cui aspiriamo.

Le sirene ti parlano di te, quello che eri, come fosse per sempre.’

Valentina Anacleria

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