E l’Italia ha un nuovo Governo. Tecnico, del presidente, di larghe intese o come lo si voglia chiamare, lo giudicheremo tra qualche mese, quando senza “lacrime” né “sangue” ma con ulteriori “sacrifici” proverà a tirarci fuori da una crisi che, avremo avuto modo di capirlo, non era legata al Cavaliere, ma ad un quadro economico europeo e mondiale che non ha risparmiato proprio nessuno.
Ma perché un governo guidato da un tecnico, o meglio da un neo senatore a vita?
Il nostro ordinamento si basa su una democrazia parlamentare, divenuta da qualche lustro bipolare con due contendenti premier e due schieramenti. Una maggioranza ed una opposizione, circa mille uomini e donne, che in questo caso, a 150 anni di distanza da quei mille che fecero l’Italia, non sono stati capaci di fare un governo. Verrebbe da dire mille incapaci alla guida di milioni di fessacchiotti abbacinati dai paroloni in politichese e infinocchiati da una spropositata quantità di promesse che, e non è un luogo comune, come nel più classico dei casi non vengono mantenute. In pochi, in pochissimi hanno trovato e troveranno il coraggio mostrato da Totò nel film “Gli onorevoli” quando per non prestarsi ai loschi giochi di palazzo denuncia, durante un comizio, i poco onorevoli progetti dei “politici”.
Nessuno, probabilmente, farà “un passo indietro” quando dovrà ricandidarsi per le prossime politiche, lontane o vicine che siano. In quel momento dovremmo essere noi elettori a fare un passo avanti e decidere di non rieleggere chi ha fallito. Non parlo di fallimento programma alla mano, né di delusione per un obiettivo mancato. Il fallimento più grande di cui si è macchiato il parlamento in carica è stato quello di non riuscire a formare un governo eletto dal popolo, cosa che del resto ci sta in una repubblica democratica, e senza vergogna affidare il tutto ai cosiddetti “tecnici” pur di continuare a succhiare dalla opulenta mammella della madre Patria.
Chi fallisce va a casa, si sottopone al giudizio degli elettori e non vanifica il voto di chi ha fatto una scelta ben chiara mandando una parte di essi, appunto, al governo ed un’altra parte a fare da contraltare e a ricoprire degnamente il ruolo di opposizione.
Approposito di opposizione, dove è finito il Partito Democratico di Bersani? Oggi tecnicamente è in maggioranza. Ma non era stato bocciato dal Popolo Italiano?
Ancora un errore, non so fin quanto voluto, quello perpetrato alle spalle dei tanti militanti democratici da parte dei vertici, del segretario politico Bersani. Perché non approfittare del momento di disgrazia dell’eterno avversario per “correre” alle elezioni, provare a vincerle e finalmente dare prova di buon governo? Ah sì, forse sono proprio queste ultime parole ad aver spaventato il “saggio” Bersani. Chi vince deve governare. Non può assolutamente limitarsi a chiedere il “passo indietro” ad altri, deve farne tanti avanti ed assumersene la responsabilità. Cosa dura di questi giorni.
Gennaro Cirillo