Le accuse. In un primo momento, Alberto Amendola ha accusato Lorenzo Perillo di aver organizzato nei minimi dettagli l’omicidio e di aver guidato l’Honda SH 300 che raggiunse l’auto della Buonocore. Amendola, infatti, dichiarò spontaneamente che Giuseppe Avolio e Lorenzo Perillo si erano recati sul luogo del delitto a bordo dell’Honda SH 300 ed Avolio, seduto dietro al Perillo aveva sparato Teresa Buonocore. Amendola, nelle sue dichiarazioni, specificò che il suo ruolo era consistito semplicemente nel fare lo “specchietto” seguendo la donna a bordo di un motorino Liberty 50 e comunicando telefonicamente a Giuseppe Avolio l’arrivo di Teresa Buonocore. Tuttavia Alberto Amendola cambiò ripetutamente la versione dei fatti, fino a dichiarare che aveva accusato Lorenzo Perillo nell’immediatezza dei fatti perché quest’ultimo in Questura aveva finto di non conoscerlo. Altre accuse poi ritirate da Amendola nei confronti di Perillo, sono state quelle di essere stato l’organizzatore del delitto. Infatti, secondo le versioni fornite da Amendola, Lorenzo Perillo avrebbe incontrato Giuseppe Avolio domenica 19 settembre per incaricarlo del “lavoro da fare” e fornirgli l’arma con la quale avrebbe uccisola Buonocore. Una versione più volte cambiata ed infine ritirata da Alberto Amendola.
La difesa. Sulla base delle prime dichiarazioni di Alberto Amendola, Lorenzo Perillo viene sottoposto a fermo ed iscritto nel registro degli indagati. Perillo spiegò più volte la sua estraneità ai fatti ricostruendo tutti gli spostamenti da lui effettuati durante la mattinata del 20 settembre. Il Perillo in particolare chiariva di aver accompagnato la figlia a scuola per poi recarsi nel proprio ufficio a Portici dove si è intrattenuto per circa quaranta minuti con i suoi collaboratori. Nelle ore successive, Perillo spiega che si era recato alla Questura di Napoli all’ufficio passaporti per risolvere un problema burocratico relativo al passaporto della figlia. La difesa smentisce le dichiarazioni di Amendola anche sull’organizzazione e la premeditazione dell’omicidio. Infatti, Perillo spiega che la domenica del 19 settembre ha trascorso una giornata in famiglia, uscendo in tarda mattinata con la moglie ed i suoi figli per incontrarsi con amici di vecchia data. Perillo spiega anche che non aveva mai conosciuto Giuseppe Avolio, a differenza dell’Amendola che da anni propone una candidatura di assunzione nell’azienda gestita da lui gestita.
La testimonianza. A sostenere la tesi portata avanti da Lorenzo Perillo è un’annotazione dell’ispettore capo della polizia di stato che nella mattinata del 20 settembre lo ha ricevuto allo sportello dell’ufficio passaporti: “Nella mattinata del 20 settembre – si legge nell’annotazione delle dichiarazioni dell’ispettore capo – nella fascia oraria di ricezione pubblico si presentava allo sportello dell’ufficio passaporti il signor Lorenzo Perillo che munito di carta d’identità mi faceva notare un evidente errore sul passaporto della figlia. Come è da prassi in questi casi, ho provveduto alla dovuta correzione dell’errore con relativo timbro dell’ufficio passaporti per convalida dell’avvenuta correzione”. Una testimonianza quella dell’ispettore capo che fortifica la tesi difensiva portata avanti da Perillo e indebolisce fortemente quella di Alberto Amendola, che in più occasioni ha cambiato la versione dei fatti riducendo sempre più la sua credibilità.
Alberto Amendola. Condannato a 21 anni e 4 mesi di reclusione con l’accusa di essere l’esecutore materiale dell’omicidio di Teresa Buonocore, Amendola ha avuto un ruolo di spicco nelle indagini dell’assassinio. Le sue molteplici contraddizioni hanno fatto perdere la credibilità delle sue parole, tanto da spingere la difesa a querelarlo per calunnia. La difesa, anche nel corso delle indagini, ha più volte spiegato che l’intero impianto accusatorio si è basato sulle sole dichiarazioni di Alberto Amendola definito da una perizia di parte come una persona “afflitta da uno stato ansioso depressivo associato ad aspetti di immaturità e a tratti patologici di personalità di tipo demente”. Un’ulteriore testimonianza di una persona vicina alla famiglia Amendola descrive, invece, Alberto come “un matto che spesso nel cortile Sant’Anna, giocava con le pistole ed esplodeva colpi in aria”. Altri dubbi sollevati dalla difesa è sul coinvolgimento di una terza persona che avrebbe partecipato all’omicidio. In una testimonianza, infatti, emerge che una terza persona avrebbe fatto salire a bordo del suo scooter Alberto Amendola subito dopo che quest’ultimo avrebbe abbandonato il motorino usato per l’assassinio. Questa testimonianza, tuttavia non è stata mai presa in considerazione dall’impianto accusatorio. Resta un mistero il coinvolgimento di una terza persona nella ricostruzione dei fatti di Alberto Amendola. La questione emerge da una informativa diffusa dalla polizia di stato mai presa in considerazione dagli organi inquirenti.
Andrea Scala