Pompei: il giudice Giuseppe Ayala e l’associazione antimafia “Riferimenti” incontrano i giovani studenti per parlare di legalità

La prima lezione di legalità in terra di camorra per molti ragazzi di alcune scuole di Pompei, Castellammare di Stabia e Santa Maria la Carità passa attraverso lo sguardo libero e ironico di un giudice siciliano come Giuseppe Ayala, collega di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e autore di numerosi libri sulla sua esperienza in magistratura.  La  sala in cui si è svolto l’incontro era  gremita di studenti di tutte le età e nonostante fosse diversa dalle aule del palazzo di giustizia la giustizia si respirava non solo ascoltando quell’uomo e la sua storia ma soprattutto pensando che quel luogo era stato sottratto alla camorra e restituito allo Stato, a noi cittadini. Il dibattito si è infatti svolto, nella mattina del 25 novembre, nella villa confiscata al clan Cesarano  nella zona del mercato dei fiori a Pompei, destinata, poi, dal comune alla sede campana del coordinamento nazionale antimafia “Riferimenti” fondato da Antonino Caponnetto. La lotta alla camorra passa, del resto, attraverso la lotta ai patrimoni mafiosi dato il forte significato simbolico di ricchezza e potere di cui sono ammantati. Per questo particolarmente importante è il riutilizzo di questi beni, la loro riappropriazione da parte dei cittadini, come avverrà nella stessa Pompei anche per un altro cespite di provenienza camorristica, ubicato nella zona di Ponte Izzo, di cui il sindaco Claudio D’Alessio ha annunciato la trasformazione in una struttura sportiva. Se tutto questo è possibile, d’altronde, è grazie alla legge ideata da Pio La Torre, ucciso dalla mafia perché tale innovazione normativa colpiva quello a cui i mafiosi, come sostiene lo stesso giudice Ayala, tengono di più: “la roba”. Di questo spietato sacrificio, insieme a quello di tanti altri, ha parlato Adriana Musella presidente dell’associazione antimafia“Riferimenti” e figlia di Gennaro Musella ucciso a Reggio Calabria dalla ‘ndrangheta con un’ autobomba. Ma le vittime in questa terra desolata non sono sempre legate al fenomeno della criminalità organizzata: basti pensare all’omicidio di Carlo Cannavacciulo, ricordato dal sindaco di Santa Maria la Carità Francesco Cascone, ragazzo ucciso in modo brutale per pochi euro, episodio che ha scosso la società civile tanto da far ipotizzare la nascita di un osservatorio sulla legalità che riguardi l’intero comprensorio vesuviano. Quando penso alla legalità adesso non posso non pensare al sorriso di quel giudice ed è difficile immaginarlo tra le carte del maxi-processo a con quasi cinquecento imputati in un momento in cui la parola mafia si sussurrava e se ne contestava persino l’esistenza. Eppure quest’uomo ce l’ha fatta ed è qui per raccontarcelo con paura certo, con fatica anche, ma con soddisfazione, tanta. La soddisfazione che deriva dal fare il proprio dovere, rispettare le regole ed esigere che gli altri le rispettino, già questo ci dice il giudice siciliano, è sottrarre territorio, anche mentale, alle mafie che si annidano nelle scorciatoie e nei favori e arretrano e scompaiono dove la legge è rispettata, da tutti non solo dagli eroi. Ascoltarlo mi fa venire in mente la massima di Cicerone scolpita in alcune aule universitarie a Napoli: legum servi sumus ut liberi esse possimus. Però poi lo stesso giudice racconta del momento più bello della sua esperienza con Falcone: una vacanza in Grecia senza uomini a tutelarli, finalmente liberi di andare in motocicletta o guidare la macchina. Liberi loro, i giudici, quelli che difendendo la legge difendono tutti noi, non i delinquenti quelli che dovrebbero stare dietro alle sbarre. Così viene da chiedersi quale è la giustizia riconosciuta in questo paese, quale la libertà. Poi guardo di nuovo quest’uomo, lo sguardo fiero e dignitoso, e penso che comunque vada la sua vita è un uomo libero, comunque vadano i processi lui ha ottenuto giustizia perché ha fatto tutto quello che era possibile per ottenerla. Perché se la giustizia è un ideale sta a noi renderla possibile. Da uomini e non da eroi. Ma perché non ci siano eroi è necessario che tutti facciano quello che viene delegato agli eroi: essere uomini liberi.

Claudia Malafronte 

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