Quando si dice cappotto , si pensa a Max Mara . E la mente vola agli anni ’50 . Posadosi su geometrie di linee pulite , rigorose . Su equilibri di look giocati sul fil rouge delle lunghezze , di quelle che sfiorano il ginocchio .
Ecco , allora , che sfilano , in ordine di tempo – partendo da quei ’50 – una giacchina stile couture , un paletot scottish – 1960 – , una cappa spinnaker – 1970 – , un maxi mantello – 1978 – , un coat effetto pelliccia – 1979 – , uno spencer oversize -1980 – , un over coat doppiopetto d’ispirazione military – 1985 – ed infine , un blazer maschile – 1996 – .
Diversi tra loro . Eppure simili nella perfezione del taglio.
Ispirati all’haute couture francese. Reinventati però con gusto italiano e realizzati in serie grazie ad inedite tecniche produttive sartoriali .
Classici . Impeccabili . Haute gamme .
Con la stessa qualità di quelli su misura si fanno largo in una moda femminile appannaggio esclusivo dei sarti , perché tutto è fatto su misura .
Un nuovo concetto di fare moda prende ,con loro , piede . Non quella degli atelier parigini , rarefatta e complicata , ma quella reale , pensata per quelle nuove donne pronte ad imbattersi nel mondo del lavoro , esigenti quanto impeccabili .
Ed è proprio dal fiuto di Achille Marmotti , fondatore di questo celebre marchio dal suono veloce , che verrà anticipato il concetto del moderno pret-à-porter – dai primi defilè in località mondane come Cortina all’appuntamento del primo fashion show meneghino, nel 1976 , all’Hotel Principe di Savoia – .
Risultati forti sin dagli inizi ,che oggi vengono rievocati nelle immagini delle
Segno tangibile , questo , di un crescente successo che passa i Novanta per riconfermarsi ( con stupore ) come oggetto del desiderio anche delle nuove generazioni .
Perché le cose fatte bene lasciano il segno .
Tappa dopo tappa .
Rimangono.
Sempre .
Eterne e chic .
Ieri , oggi e domani .
M.Chiara D’Apolito